CIS

Alla ricerca del genere e del linguaggio

Cinzia Favini

Psicologa, Psicoterapeuta

Alla ricerca del genere e del linguaggio

Parlerò di me, e delle persone che ho avuto il privilegio di incontrare e che mi hanno insegnato tanto riguardo le identità sessuali.

Il mio viaggio nel mondo del genere è iniziato con le persone che hanno la necessità di frantumare il genere stesso: le persone trans.

Nell’associazione di cui ho fatto parte, che si definiva TBIGL c’erano persone alla ricerca di se stesse e questa ricerca passava dalla loro sessualità. In un gruppo in cui si parlava di relazioni affettive, emerse immediatamente che la prima relazione è quella con se stessi e conoscersi era fondamentale.

La prima lettera era volutamente la T di Transgender, un termine ombrello che ho imparato porta con sé un mondo di differenze.

Alcune persone T cercavano forsennatamente di avvicinarsi al polo maschile o femminile, impersonando lo stereotipo di questi due poli.

Poi ho incontrato lui, ai tempi si definiva uomo trans e aveva scelto di non intraprendere un percorso medicalizzato (ormonale o altro), attirando lo stupore e la rabbia di molti che non capivano perché non volesse modificare il suo corpo seguendo quello che era. Personaggio controverso, amato e odiato, si esponeva politicamente e visibilmente portava il suo essere nel mondo Tbigl con fierezza e voglia di farsi comprendere. Ora si definisce non binary.

La B dei bisessuali non era compresa in altre associazioni, ma da noi anche l’orientamento sessuale e l’attività sessuale umana non poteva essere ridotta ai due soli poli di eterosessualità e omosessualità (come nella teoria già aveva dimostrato Kinsey negli anni 50).

La I di intersessualità era portata nel gruppo da una persona che la chirurgia e il volere dei medici di allora avevano assegnato alla nascita al sesso femminile, interventi che l’hanno portata ad approcciarsi alla società con un genere femminile, nel quale faticava enormemente a riconoscersi.

Successivamente alla conoscenza di sé, arrivava l’altro e il proprio racconto.

Trovare le parole per una narrazione che sveli chi sono, per farmi comprendere, accorciare le distanze, sentirmi visto e riconoscermi finalmente in quello sguardo.

Ricordo di essere stata molto curiosa riguardo tutte le terminologie e categorie nuove che mano a mano incontravo (pansessuali, asessuali, queer, ftm, mtf, crossdresser, afab, amab) e dopo pochissimo tempo ne ho capito l’importanza: questa ampiezza di categorie era dettata dalla necessità di sentirsi parte di una comunità, di sentirmi al sicuro, di appartenere e di avere vicino qualcuno che almeno un po’ mi assomigliasse.

Per una volta le categorie non erano la volontà di ridurre la complessità.

Come diceva un’attivista donna, lesbica e nera: “se non sei tu a definirti, lo faranno gli altri”.

I vari interventi parlavano anche di microagressioni, atti di discriminazione indiretta, non espliciti non intenzionali oppure di vero e proprio bullismo, di prevaricazione, opportunità negate, causando minority stress (alti livelli di stress provati dai membri di un gruppo minoritario stigmatizzato).

Purtroppo come sappiamo, le categorie portano anche alla creazione di stereotipi e alla richiesta di conformarsi ad essi e da qui alla creazione di pregiudizi, trasformando una forma di protezione in una possibile situazione di discriminazione e violenza.

Grazie a tutti loro ho modificato il linguaggio, facendo attenzione ai pronomi e alle desinenze, facendo in modo che nessuno più si sentisse invisibile.

Grazie ad un caro collega, più esperto di me, ho imparato che l’identità di genere è una parte della nostra identità, non la totalità e quindi incontro i pazienti nella loro unicità, lasciando che siano loro a raccontarmi chi sono e anche chi vogliono diventare, nel processo dello sviluppo di sé.

Dopo il linguaggio ho cambiato il pensiero.

Ora cerco di non usare più la parola diversità, preferisco varietà e parlo di persone, non di uomini o donne, perchè quando parliamo di genere so che è uno spettro lungo il quale ognuno ha il diritto di posizionarsi oppure starne anche fuori.

Bibliografia:

Kinsey scale – Heterosexual-Homosexual Rating Scale

Alfred Kinsey (1894-1956)

Sguardi sul genere, voci in dialogo” a cura di Paolo Rigliano Mimesis 2018

Chiamami così. Normalità diversità e tutte le parole nel mezzo” Vera Gheno Il Margine 2022

L’aurora delle trans cattive” Porpora Marcasciano Alegre 2018

Le Disfunzioni Sessuali oltre il Genere

Modestino De Nardo

Le Disfunzioni Sessuali oltre il Genere

Questo articolo non ha la pretenziosità di creare un nuovo sistema diagnostico, ma di creare uno spazio di riflessione per i consulenti che si trovano ad affrontare disfunzioni create non tenendo conto della differenza che ci può essere tra i vari generi sessuali. Accogliere una persona che ci porta una sofferenza deve portare una connessione al sentire oltre al riconoscere l’evento genitale.


Definizione di Impotenza e Disfunzione

Il termine Disfunzione Sessuale indica un Disturbo caratterizzato da un’anomalia, clinicamente significativa, nella risposta sessuale e\o nel provare piacere sessuale. Quest’anomalia può essere causata da una patologia organica o psicologica e, diviene disturbo quando questa condizione permane per lungo tempo e caratterizzare la risposta sessuale del portatore.

Il paziente arriva portando con sé le problematicità oggettive legate alla disfunzione, il dolore e il vissuto simbolico che accompagna tutta la situazione.
Per riprendere le parole del Dott. Giorgio Rifelli “le diverse alterazioni della risposta sessuale debbano poter essere collocate dentro quadri patologici che comprendono l’insieme SomatoPsichicoRelazionale in maniera che la malattia non indichi la disfunzione ma la condizione della persona che soffre”. L’Impotenza Sessuale è una patologia dell’essere, del sentire, e non della funzione o del fare. Nell’accogliere una persona di sesso biologico femminile, che si identifica come maschile, e che porta un’Impotenza Sessuale il rischio del\la professionista potrebbe essere quello di non riconoscere la vera sofferenza dell’assistito poiché guidati da un pregiudizio. Per questo motivo, di seguito, distingueremo le Disfunzioni e Impotenze di Pene-munite\i, di Vagino-munite\i. Nello specifico parleremo di quelle categorizzazioni, del DSM-5, in cui si rischia di cader vittima di tale errore.

DSM-5

Il DSM-5 utilizza la parola Disfunzione per categorizzare l’evento genitale in funzione di una diagnosi. Alcuni criteri sono comuni a tutti i disturbi e sono:
– protrarsi per almeno 6 mesi
– causare un disagio clinicamente significativo
– non devono essere spiegati da un disturbo mentale di natura non sessuale, una condizione medica o una sostanza\farmaco
– specificare la natura dell’esordio che può essere permanente o acquisito
– chiarire se i sintomi emergano in maniera situazionale o sono generalizzati.
– specificare se la severità del disturbo è lieve, moderata o grave.
Di seguito, invece, ci soffermeremo unicamente sui criteri e le definizioni che potrebbero portare delle limitazioni:

Eiaculazione Precoce

Nel DSM-5 viene indicato il tempo di 1 minuto dopo la penetrazione VAGINALE come fattore diagnostico. C’è una nota che specifica che può essere diagnosticato anche a chi non fa sesso vaginale ma non sono stabiliti i criteri di durata. La proposta sarebbe quella di togliere la specificazione VAGINALE, la nota e di generalizzare i criteri di durata a tutti i tipi di penetrazione. Inoltre, per i non binary, si potrebbe parlare di Impotenza non riferendosi alla Mascolinità ma nei confronti del proprio corpo.

Eiaculazione Ritardata e Disfunzione Erettile

In queste due patologie, per una persona non binaria, non necessariamente c’è una sensazione di mascolinità o virilità, ma piuttosto a un senso di estraneità o disconnessione dal proprio corpo. Si tratta di un senso di impotenza che va separato dalla sofferenza che può essere sperimentata da una persona con disforia di genere, ma che può derivare da altri fattori.

Disturbo dell’Orgasmo Vaginale

Il DSM-5 riporta Disturbo dell’Orgasmo Femminile ma l’orgasmo vaginale può provarlo anche una persona che con la Femminilità sente di non aver nulla a che fare. Con la terminologia Disturbo dell’Orgasmo Vaginale si potrebbe abbattere un pregiudizio a priori del\la professionista e un sentirsi non compreso della persona assistita.

Disturbo del Dolore Genito-Pelvico e dell’Introduzione
La categorizzazione del Manuale Diagnostico potrebbe includere il dolore di un numero maggiore di persone se si riconoscesse che la coabitazione vaginale può portare sofferenza anche quando viene introdotto altro.

Nel DSM-5 abbiamo due patologie diverse per il maschio: una legata dal desiderio (Disturbo del Desiderio Ipoattivo) e una legata all’eccitazione fisiologica (Disfunzione Erettile). Mentre per la donna abbiamo un unico disturbo che unisce il desiderio (cognitivo) e l’eccitazione (fisiologico).
Nel DSM-4, invece, entrambi i generi hanno una patologia esclusiva del desiderio e una dell’eccitazione. La proposta potrebbe essere di fare un unico Disturbo del Desiderio Ipoattivo (oltre il genere): caratterizzato da persistente o ricorrente insufficienza (o assenza) di pensieri o fantasie sessuali\erotiche e di desiderio di attività sessuali.
Inoltre, secondo il DSM-5, l’eccitazione femminile sembra essere strettamente collegata al desiderio. In realtà, ricerche nel campo della sessualità femminile hanno dimostrato la netta distinzione tra Desiderio Sessuale (fantasie e pensieri), Eccitazione Mentale (sentirsi eccitati) ed Eccitazione Genitale (risposta fisiologica). Come dimostrato dallo strumento più utilizzato per indagare questi aspetti, il FSFI (Female Sexual Function Index). 

Conclusioni

Questa terminologia non sarebbe adeguata e corretta a priori ma, sarebbe di sicuro più adeguata qualora la persona assistita si identificasse con un genere non binario. La necessità di categorizzare è un bisogno umano, ma la nostra professione ci ricorda quanto ognuno di noi sia moltitudine ed è proprio questa moltitudine a contraddistinguerci.

Bibliografia: