Susanna Gorini
Laurea magistrale in psicologia di comunità
Parafilia e disturbo pedofilico
Il termine parafilia indica un intenso e persistente interesse sessuale, diverso dall’interesse sessuale per la stimolazione genitale o i preliminari sessuali con partner umani fenotipicamente normali, fisicamente maturi e consenzienti (DSM-5-TR, 2023). Nelle parafilie l’eccitazione sessuale viene innescata frequentemente da oggetti e attività sessuali inusuali. Il concetto di intensità e persistenza è difficile da valutare, per cui la parafilia può essere definita come un interesse sessuale maggiore rispetto a un interesse normofilico. Esistono molte parafilie e un singolo individuo può averne più di un tipo. Di per sé una parafilia non determina il disturbo parafilico.
Una parafilia può evolvere in disturbo parafilico quando soddisfa quattro criteri fondamentali: compromissione sociale, esclusività, compulsività e potenziali sofferenze a sè o agli altri. La ricorrenza di questa condizione è di almeno 6 mesi, manifestandosi come forma esclusiva e prevalente per il soggetto. Le aree di funzionamento della persona vengono ampiamente intaccate in modo negativo dagli impulsi e fantasie associate a questo comportamento (DSM-5-TR, 2023).
All’interno della categoria dei disturbi parafilici è presente il disturbo pedofilico. Gli individui con questo disturbo presentano un forte interesse o preferenza sessuale che ha come target specifico i bambini (DSM-5-TR, 2023). L’elemento discriminante che permette di effettuare la diagnosi di disturbo pedofilico, differenziandolo dalla parafilia, è il passaggio all’atto o la presenza di un grave disagio. Nel disturbo pedofilico sono presenti in modo intenso e ricorrente per un periodo di almeno sei mesi, fantasie sessualmente eccitanti e desideri o comportamenti sessuali che riguardano attività sessuale con un bambino generalmente sotto i 13 anni di età. L’individuo coinvolto in questi agiti deve avere almeno 16 anni ed essere almeno cinque anni in più grande del bambino o dei bambini coinvolti nell’atto sessuale (DSM-5-TR, 2023).
Quindi se il soggetto presenta preferenze per fantasie, desideri o impulsi pedofilici senza mai averli agiti, non è possibile effettuare diagnosi di disturbo pedofilico ma occorre prestare attenzione a tutti coloro che negano l’attrazione per i bambini e che giustificano eventuali approcci a prepuberi come privi di connotazione sessuale.
La maggior parte dei pedofili è eterosessuale di sesso maschile, nonostante la prevalenza sia sconosciuta, si stima intorno al 3% della popolazione maschile adulta mentre nelle donne si presenta in misura inferiore (Seto et al., 2014). Nonostante l’attrazione possa essere rivolta ai bambini di entrambi i generi, i pedofili tendono a preferire quelli di sesso opposto al proprio (Freund e Watson, 1992). I pedofili possono presentare una forma esclusiva di attrazione nei confronti dei bambini o non esclusiva, la quale comprende attrazione anche nei confronti degli adulti.
L’utilizzo di materiale pedopornografico è un indicatore importante del disturbo in quanto rivelatore dell’interesse sessuale. Nonostante l’uso di questo materiale sia da ritenersi necessariamente illegale, non risulta un criterio sufficiente per effettuare la diagnosi di disturbo pedofilico.
Ma quali sono le motivazioni alla base dell’interesse sessuale pedofilico?
Secondo la maggior parte degli studi, ciò che motiva il pedofilo ad entrare in contatto con il bambino sembrerebbe essere un profondo sentimento di inadeguatezza nei confronti di un partner sessuale adulto (Bruzzone, 2006). Il confronto tra pari viene percepito come ansiogeno e giudicante, quindi inaccettabile, invece il direzionamento della pulsione verso il bambino gli consente il libero sfogo delle pulsioni sessuali senza il rischio di essere respinti.
Le strategie di approccio più utilizzate dai pedofili vanno dai regali e complimenti, per familiarizzare con la vittima, fino all’abuso vero e proprio, momento in cui il bambino/adolescente risulta totalmente invischiato nella manipolazione psicologica messa in atto dal carnefice.
I comportamenti che gli offenders mettono in atto con maggior frequenza riguardano il toccare e mostrare i genitali mentre il rapporto con introduzione risulta meno presente (Bruzzone, 2006).
A livello cognitivo, ci sono delle strategie di disimpegno morale che il pedofilo può mettere in atto per neutralizzare la vergogna e il senso di colpa in merito ai suoi comportamenti (Bandura, 1986). Bandura (1986) ha individuato diversi meccanismi psicologici per disattivare il controllo morale e favorire comportamenti di matrice antisociale:
La presenza di queste strategie di disimpegno è un’importante fattore di valutazione psicologica in termini di pericolosità sociale e successivo passaggio all’atto.
Bibliografia
Bandura A. (1986): Social foundations of thought and action: A social cognitive theory. Prentice-Hall, Englewood Cliffs, NJ.
Bruzzone R., “Criminal Profiling dei child sex offenders” in a cura di Strano M., Abusi sui minori: manuale investigativo, Nuovo Studio Tecna, Roma 2006.
Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition,Text Revision (DSM-5-TR, 2023). American Psychiatric Association Publishing, Washington, DC.
Freund K, Watson RJ: The proportions of heterosexual and homosexual pedophiles among sex offenders against children: An exploratory study. J Sex Marital Ther 18(1):34-43, 1992.
Seto MC, Kingston DA, Bourget D: Assessment of the paraphilias. Psychiatr Clin North Am 37(2):149-161 2014.
Francesca Mattioli
Criminologa, Formazione in Sessuologia Clinica e laureanda in Psicologia dell’intervento clinico e sociale
Juvenile Sex Offenders
Oggi si può affermare che esiste una grande differenza tra comportamenti sessuali trasgressivi, sani, consensuali, messi in atto in modo consapevole sotto la spinta della curiosità e del piacere e comportamenti sessuali devianti che vanno a caratterizzare disturbi psicopatologici come il disturbo parafilico e il sex offending.
Per spiegare questa differenza è stato identificato un continuum lungo il quale si pone il comportamento sessuale, i cui estremi sono la normatività e il sex offending (Quattrini, 2015). È un continuum che parte nel definire la sessualità cosiddetta normativa, espressione degli stereotipi tipici della cultura di una specifica società, passando per la trasgressione e arrivando a fare una distinzione tra ciò che è parafilia e ciò che è disturbo parafilico. È all’estremo del continuum che si trovano i sex offenders, ovvero gli autori dei crimini sessuali, cioè quegli individui che si servono della sessualità come mezzo per arrecare dolore e sofferenza ad un’altra persona.
Oggi, il costante incremento dei casi di violenza sessuale per opera di adolescenti in numerose nazioni, compresa l’Italia, ha portato a volgere l’attenzione su una particolare categoria di sex offender, ovvero gli autori di reati sessuali minorenni, i Juvenile Sex Offenders, che generalmente hanno un’età compresa tra i 12 e 18 anni e, secondo gli studi, hanno delle caratteristiche comuni che li distinguono dagli altri minorenni responsabili di reati di matrice non sessuale.
Il funzionamento sociale dei giovani abusanti risulta essere significativamente compromesso; ad esempio sono descritti come ritirati socialmente, incapaci di stabilire relazioni intime (in particolare con l’altro sesso), hanno difficoltà nel provare empatia e scarse abilità assertive. Per quanto riguarda le capacità cognitivo-intellettive e le problematiche comportamentali vengono segnalate difficoltà di apprendimento, evasione scolastica, difficoltà nel controllo degli impulsi, frequenti i disturbi di personalità di tipo narcisistico, borderline, antisociale e disturbi dell’umore con stati disforici.
Per le tipologie dei giovani autori di reati sessuali esiste un’ampia variabilità di classificazioni: in base al profilo di personalità, al tipo di reato e all’età della vittima (Di Cori R., Fedeli N. & Sabatello, 2012).
In merito ai fattori di rischio emerge che di frequente le famiglie sono multiproblematiche, con confini non ben definiti dei propri membri, con modelli genitoriali disfunzionali o deficit nella funzione di caregiving, discontinuità delle cure, instabilità emotiva, assenza di valide figure di attaccamento e ridotte opportunità identificatorie (Scali M., 2011).
Quello del sexual offending è riconosciuto come un fenomeno multideterminato e, provando a fare una breve rassegna della letteratura per quanto riguarda l’eziopatogenesi, le esperienze traumatiche rivestono senza dubbio importanti fattori patogenetici (Di Cori R., Fedeli N. & Sabatello, 2012). Nonostante l’analisi delle vittimizzazioni pregresse dei JSO evidenzi la presenza di abusi sessuali vissuti in età precoce, la nozione di “ciclo della violenza” proposta da Finkelhor risulta non sufficiente a spiegare questo tipo di reati; infatti, non tutti i minori sono stati vittime di abusi sessuali e non tutte le vittime di sexual abuse diventano sex offenders.
Non solo la presenza di traumi da abuso fisico o sessuale, da negligenza, ma anche la mancanza di empatia, di cure, l’esistenza di confini familiari indefiniti, relazioni disfunzionali di attaccamento (Sitney, M.H., Kaufam, K.L., 2020) possono contribuire allo sviluppo di comportamenti sessualmente devianti o violenti. I reati sessuali rappresentano per molti giovani abusanti il tentativo di trasformazione di pregresse problematiche evolutive (Fedeli N. & altri, 2011) e le aggressioni iniziano quando il soggetto sperimenta un vissuto di inadeguatezza e di vuoto, ricorrendo a fantasie sessuali improprie accompagnate dall’aumento della disforia, per poi arrivare all’oggettivazione della fantasia, con la scelta della vittima e il passaggio all’atto.
Nell’ultima fase l’individuo può sperimentare una sensazione transitoria di senso di colpa, per poi ripristinare la pseudonormalità attraverso la soppressione di sentimenti spiacevoli o mediante distorsioni cognitive. La sequenza dell’aggressione sessuale, in rapporto con i vissuti di impotenza derivanti da esperienze oggettuali precoci traumatiche, sembra costituire il tentativo dell’individuo di ripristinare un senso di unità di sé attraverso la concretezza dell’agito e la sessualizzazione della condotta.
Si tratta comunque di un fenomeno complesso, che deve tener conto delle caratteristiche strutturali, di funzionamento del soggetto e del peso che i traumi pregressi possono aver giocato nella messa in atto del reato, permettendo così di delineare i contorni della condizione psicopatologica, la sua pervasività e la trattabilità.
Bibliografia
CHIARA TRONCIA
Laureata in psicologia dei processi sociali
ALL’INTERNO DELLA COMUNITA’ FURRY
Sono definiti “Membri della comunità Furry”, o più semplicemente “Furry”, gli individui affascinati da quella subcultura artistica, mediatica e sociale che vede come principali protagonisti animali dai tratti antropomorfi. E’ solito per queste persone realizzare, detenere o ricercare materiali di tipo artistico dei suddetti personaggi come disegni digitali, costumi fatti su misura, video e tracce audio dove degli esseri umani imitano versi di animali. E’ inoltre comune che i membri di questa comunità posseggano un’immagine mentale di un personaggio animalesco con dei tratti simili ai propri. In gergo esso è definito col termine “Fursona”, derivante dall’unione delle parole “Fur”(Pelo) e Persona (Individuo o maschera). Da tale argomento è possibile fare un’iniziale distinzione tra i membri che considerano i “Fursona” solo come una propria creazione e chi invece riferisce di provare una totale identificazione con esso la quale può sussistere anche nell’ambito sentimentale e sessuale.
Per capire meglio questa realtà e arrivare a comprendere come essa si leghi alla sessualità degli individui è riportata qui di seguito un’intervista ad un membro di tale comunità.
“Come nasce questo fenomeno e come è composta la vostra comunità furry?”
“Ci sono varie speculazioni, si potrebbe supporre che il fenomeno nasca negli anni 30 grazie all’avvento dell’animazione ed in particolar modo della Disney, i cui personaggi erano spesso animali antropomorfi come nel caso di Topolino e Robin Hood. Ma altri ritengono che in realtà abbia origini antichissime. Sin dai tempi degli antichi Egizi l’uomo era affascinato dall’idea dell’esistenza di creature senzienti, ibride tra uomini e animali. Inoltre la concezione di una connessione spirituale tra il mondo umano e quello bestiale è qualcosa di presente in numerose culture. Nell’ottica furry questo accade perché l’uomo è percepito come manchevole in quanto è l’unico animale bipede privo sia di pelo che di coda.
Riguardo la composizione della comunità i membri sono per circa l’80% uomini gay e bisessuali, è anche per questo che la pornografia furry è composta prettamente da scene omosessuali. E’ presente anche una grande fetta di popolazione transgender e asessuale. Quest’ultima viene solitamente attratta dalla varietà di pratiche sessuali non tradizionali che questo ambiente offre (Es. l’uso di ali, zampe, tentacoli, ecc. …).
Oltre a questo alcune di queste persone riferiscono di avere una repulsione per le sensazioni tattili, olfattive e visive presenti in un rapporto sessuale “classico” le quali, ovviamente, vengono alterate nell’ambito furry.
“Cosa sono le fursuit e come vengono utilizzate nell’ambito sessuale?”
“Le fursuit sono dei costumi che ritraggono il più fedelmente possibile un fursona. Sono composte da vari pezzi assemblabili e sono considerate da alcuni non come un travestimento ma letteralmente come un altro corpo nel quale si può cambiare il proprio. Le persone transgender sono spesso affascinate dalla possibilità che esse offrono di re-immaginare il proprio corpo e di conseguenza il vestirsi da animali, in alcuni casi, diventa un modo per mitigare la propria disforia di genere. Alcune fursuit vengono realizzate con lo scopo di essere indossate durante il sesso ed in questo caso vengono chiamate “mursuit” dall’unione dell’onomatopea delle fusa del gatto con la parola fursuit, appunto. In gergo per indicare il rapporto sessuale in ambito furry viene utilizzato il termine “Yiff” che riprende il suono che emettono le volpi in calore. Le mursuit hanno generalmente un dildo integrato, in alcuni casi si ha una riproduzione fedele degli organi sessuali mentre in altri viene lasciata un’apertura in modo che la persona all’interno possa usare i propri genitali.
“Quali sono alcuni fetish comuni all’interno della comunità?”
“Allora c’è da dire che circa l’85% dei furry riferisce di avere anche fantasie sessuali legate a questo ambito. Detto questo i feticci più diffusi sono quelli per il vore e (in modo simile al classico feticismo del piede) per le zampe. Il primo si potrebbe riassumere come una fantasia di essere mangiato o comunque inglobato da un altro, questa cosa può avvenire attraverso la bocca, l’ano o l’uretra. In questa dinamica ci sono ovviamente un predatore (che mangia) e una preda (che viene mangiata). Nella pornografia che ritrae queste scene si enfatizza molto sulla sottomissione la quale viene accentuata da dettagli come i liquidi corporei che bagnano il pelo e lo appesantiscono, rendendo più difficoltosa la fuga della preda.
“Infine, qual è la differenza tra queste tendenze e la zoofilia?”
“Nella zoofilia manca una parte che è invece fondamentale nella parafilia furry ovvero che l’oggetto del desiderio è senziente. I soggetti di queste fantasie non sono veri animali ma creature antropomorfe in grado di parlare e di esprimere il libero arbitrio, come gli umani. Se due persone adulte decidono di avere un rapporto sessuale in fursuit si tratta ovviamente di una scelta pensata e dove si presuppone un consenso delle parti. Poichè spesso i furry vengono associati alla zoofilia essi cercano di distaccarsene il più possibile esprimendo un forte biasimo per queste condotte, è comune infatti che gli organi sessuali dei fursona siano molto simili a quelli umani proprio perché si teme che, disegnando genitali simili a quelli realmente posseduti dagli animali, si potrebbe essere etichettati come zoofili e allontanati dalla comunità.
Bibliografia
Maase J. W., Keeping the Magic: Fursona Identity and Performance in the Furry Fandom, 2015.
Reysen S., Plante C., Gerbasi K. C.: Optimal Distinctiviness and identification with the Furry Fandom, 2015.
Satinsky E., Green D. N.: Negotiating identities in the furry fandom through costuming, 2016.