di Giuliana Proietti
Chiara Valentini è una nota giornalista (Corriere della Sera Panorama, L’Espresso, ecc.) e saggista: Le donne fanno paura (Il Saggiatore), La fecondazione proibita, con prefazione di Stefano Rodotà (Feltrinelli), O i figli o il lavoro (Feltrinelli). Dopo essersi laureata con una tesi sul delitto d’onore, ha continuato a scrivere sui temi femminili e sulla condizione della donna, ma anche ad occuparsi di argomenti storici e politici. In questo campo il suo libro più noto è Enrico Berlinguer, biografia più volte ripubblicata del più amato segretario del PCI.
GP Ti sei laureata con una tesi sul delitto d’onore, dunque hai ben presenti le condizioni giuridiche che avallavano il diritto maschile di farsi giustizia da sé in caso di tradimento da parte della propria donna. Oggi il delitto d’onore non esiste più ma, con una nuova parola, “\ dello stesso argomento… Che relazione c’è fra i due termini?
CV Il delitto d’onore e il femminicidio sono definizioni che appartengono a due tempi molto diversi: il delitto d’onore faceva infatti parte del codice Rocco, il codice fascista, ed era basato sul concetto per cui l’uomo era il custode dell’onore familiare, inteso come integrità sessuale, non solo della moglie, ma anche delle sorelle e delle figlie. Quindi era una sorta di diritto di vita o di morte che il maschio aveva sulle donne della famiglia, e che gli consentiva di ottenere condanne di solo pochi anni. Parliamo dunque di qualcosa di assolutamente arcaico, una visione del rapporto uomo-donna spaventoso. Il femminicidio invece è la definizione di qualcosa che ai nostri giorni si verifica con preoccupante frequenza ma che ha radici diverse. Nasce dal fatto che molti uomini sono ancora convinti che la moglie sia quasi una loro proprietà… Quando questa “proprietà” li pianta in asso possono scoppiare reazioni violente, fino all’omicidio. Penso che sia importante chiamare questi delitti femminicidi: le femministe hanno molto insistito sull’uso di questo termine perché è un modo per connotarlo, per non farlo passare per un omicidio qualsiasi. Il punto non è certo attenuare la pena ma al contrario scavare nelle modalità, mettere in luce le condizioni che hanno reso possibile quell’atto, i meccanismi sociali di difesa che non sono scattati.
C’è una teoria tragicamente ironica sul femminicidio: l’assassino ha le chiavi di casa. Come dire che il colpevole va cercato quasi sempre fra le figure maschili più vicine alla donna: mariti, fidanzati o compagni che hanno pieno accesso alla sua vita e alla sua intimità. L’ assassino è una persona di cui lei purtroppo continuava a fidarsi, anche quando aveva già ricevuto minacce e violenze. Oggi si è riusciti a portare alla luce queste caratteristiche del femminicidio. Ma purtroppo queste storie si ripetono tragicamente, quasi con gli stessi dettagli.
GP C’è un altro neologismo che vorrei discutere con te… Il “sessismo”. Sei d’accordo anche sull’utilizzo di questo termine?
CV Il sessismo se l’avessimo cercato su un dizionario di 50 anni fa non l’avremmo trovato. E’ una parola che nasce nel femminismo americano degli anni 50-60 e che si rifà a un altro “ismo”, il razzismo. Si tratta infatti di un atteggiamento ostile o addirittura persecutorio verso gruppi sociali che presentano particolari caratteristiche biologiche. Nel caso del razzismo le caratteristiche biologiche penalizzate riguardano il colore della pelle, nel caso del sessismo si tratta semplicemente di essere donne. Un classico esempio di sessismo può essere considerato la disparità salariale, cioè il salario più basso della donna rispetto a quello maschile per lo stesso lavoro. In molti casi si verifica anche oggi, nonostante le tante leggi che hanno cercato di proibirlo. Un esempio messo in luce dalle studiose anglosassoni è invece il “soffitto di cristallo”, cioè la difficoltà delle donne a proseguire la loro carriera oltre quell’ostacolo invisibile che si presenta quando arrivano al livello in cui si esercita un potere reale.
In tempi più recenti però le donne sono andate avanti, anche oltre il famoso soffitto. Di fronte a questa avanzata, quasi per paradosso si è fatto strada un altro tipo di sessismo. Questo atteggiamento consiste nel prendersela con l’immagine stessa della donna in carriera, con il suo corpo, perfino con il suo modo di vestire… Qualunque connotato di femminilità può diventare oggetto di attenzione morbosa, di critiche malevoli, di attacchi. Pensiamo alle donne in politica: in Italia ci sono donne carine, piacevoli, che hanno ottenuto incarichi molto importanti. Pensiamo a due presidenti della Camera, Irene Pivetti nel campo della destra e la Boldrini in quello della sinistra. Tutte e due all’altezza del ruolo, che però sono state coperte ogni giorno ( e nel caso della Boldrini continua ad esserlo) da valanghe di messaggi e email insultanti sessisti, per non parlare delle minacce di stupro e di altre violenze a sfondo sessuale. Assistiamo a casi di sessismo insultante anche verso donne di potere meno dotate fisicamente, e verso le donne anziane. Il rancore insomma è tanto per una donna bella che si permette di diventare importante, quanto per le donne non belle ma anche loro in carriera, che si cerca di ridicolizzare per ferirne l’autorevolezza. Questo fenomeno è molto più presente in Italia che in altri paesi. Ed è dilagato negli ultimi anni anche grazie al potere del web.
GP Hai scritto un saggio sulla “fecondazione proibita”: qual è la tesi centrale di questo libro e cosa pensi dell’attuale legislazione italiana in materia?
CV Questo è un libro che mi ha particolarmente emozionato, perché l’oggetto di questa faccenda è una grande ingiustizia, che veniva consumata ai danni delle donne italiane, ma anche dei loro mariti e dei loro rapporti di coppia. Questo io lo sentivo con molta forza perché appartengo alla generazione che si era battuta per il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza.
All’epoca ne avevamo sentite di tutti i colori: ci davano delle assassine, ci sbattevano sotto il naso i feti nella formalina, ci offendevano in mille modi. Sono cose che ti restano dentro, anche se passano gli anni… In questo altro caso invece chiedevamo semplicemente di usare tecniche accettate in tutti i paesi civili, per mettere al mondo i figli che non riuscivamo ad avere. Ebbene, ci sono state risposte più o meno le stesse cose, più o meno dalle stesse persone e dalle stesse parti della società (destra cattolica integralista o medicina più conservatrice): voi non avete il diritto o la libertà di scegliere in nessun modo. Non potete decidere di non voler essere madri, ma non potete neanche decidere di volerlo essere. Era un accanimento veramente gratuito, fonte di tanto dolore inutile. Una cosa che mi aveva molto colpito è il fatto della diagnosi preimpianto degli embrioni, un esame non invasivo, che avrebbe permesso di mettere al mondo figli sani. E invece no: c’è stato un forte accanimento, che ha impedito alle coppie con anemia mediterranea o altre problematiche di concepire figli non colpiti dalle loro patologie. Questi bambini hanno avuto poi una vita dura, come si sapeva bene. E’ intollerabile questo dolore inutile. La nostra è stata la battaglia di una minoranza: il mio libro era uscito nel 2004, subito prima del referendum per cancellare gli articoli più punitivi della legge 40, la legge Burka come era stata soprannominata: referendum che abbiamo perso. Ma le troppe ingiustizie di quella legge avevano portato alla nascita di tanti gruppi: quelli delle aspiranti madri, dei ginecologi, dei giuristi e degli avvocati. Questo movimento sociale che siamo riusciti a suscitare con forze limitate è stato, secondo me, quello che negli anni successivi ha consentito di smantellare quella legge, articolo dopo articolo. Non è rimasto in piedi quasi niente di quella legge… Quindi ce l’abbiamo fatta, ma si poteva evitare tanta fatica e tanta sofferenza.
GP Un altro tuo libro molto importante è “O i figli o il lavoro”. Siamo oppressi da statistiche e previsioni catastrofiche sulla natalità, ma pochi si rendono conto che non si fanno figli perché le donne sono costrette a scegliere fra figli e lavoro.
CV Questo, fra i libri che ho dedicato al tema dell’emancipazione femminile, è quello che in qualche modo ho sentito di più. Ci ho lavorato con grande empatia perché è un problema che io stessa avevo vissuto sulla mia pelle: io avevo una figlia piccola e allora per una donna tenere assieme un lavoro impegnativo e la maternità era una cosa veramente lacerante, di cui non si parlava quasi. Quando una donna doveva pensare alla carriera e alla maternità doveva vivere questo problema sulla sua pelle, in solitudine. Ricordo la difficoltà o meglio, il dolore, nel dover scegliere fra mia figlia e l’andare a fare un servizio importante. Per lavoro sono spesso andata all’estero, ho seguito i congressi di importanti partiti e fatti di cronaca drammatici come il terremoto dell’Irpinia. Incarichi che era impossibile rifiutare ma che mi hanno costretto a scegliere fra lavoro e figlia. Non era facile. Quando mia figlia aveva, ad esempio, un esame, o doveva fare un saggio a scuola, insomma, quelle piccole cose che sono l’ossatura della vita familiare, non c’erano vie di mezzo: o una cosa o l’altra. Non c’erano mediazioni possibili. Io ho sofferto, ma soprattutto credo ne abbia sofferto mia figlia. All’epoca eravamo in poche ad assentarci completamente per lavoro; siamo state delle pioniere, ma questo lasciava nei bambini un senso di abbandono per il fatto di non poter contare su una delle persone di riferimento. Ho fatto questo libro molti anni dopo, ed è stato con grande curiosità e passione che mi sono addentrata in questo mondo nella sua versione odierna.
GP Un altro tuo libro è “Le donne fanno paura”. Perché fanno paura?
CV Questo è stato il primo libro della serie dedicata alle donne. Era la fine degli anni ’90 e le donne erano in Italia degli strani personaggi, con una serie di record in positivo o in negativo, ma tutti più o meno andavano contro di loro. Per esempio le donne erano le più brave a scuola, si laureavano con voti più brillanti, ecc. però c’era la controfaccia del record negativo. Alla conferenza mondiale delle donne a Pechino siamo infatti risultate le donne che al mondo lavoravano più ore, sommando il tempo dedicato al lavoro domestico e extra domestico Era infatti una fase in cui gli uomini ancora non collaboravano nei lavori domestici. Gli uomini hanno cominciato molto prima ad occuparsi dei bambini che dei lavori di casa. Questi sono arrivati molto dopo.
GP Cosa pensi inoltre delle giornaliste TV, sempre più sexy ed ammiccanti? Proponendosi così stanno ancora facendo le giornaliste o sono ormai delle intrattenitrici televisive?
CV Indubbiamente è vero che la bellezza è il passaporto quasi indispensabile, almeno in Italia, per fare questo mestiere. C’è poi il discorso dell’età; non so quale sia l’asticella, ma sicuramente è richiesto di essere giovani. Nello stesso tempo però c’è stato un dilagare, negli ultimissimi anni, di presenze televisive femminili nell’informazione TV. Dopo il fenomeno Gruber è venuto avanti un plotone di donne e ragazze, anche con nomi che non sono poi diventati notissimi, che però hanno fatto reportage dai teatri di guerra, dalle città assediate, o dai meeting internazionali. Sono sempre più spesso le donne a riferire cosa accade nel mondo, e questo secondo me non può non avere un’influenza anche sulla testa delle persone. I TG sono fatti quasi completamente da donne. C’è una femminilizzazione fortissima nei media italiani e in questo vedo un aspetto positivo, anche perché queste giornaliste, oltre che belle, devono essere anche bravine… Non è che si può andare in onda e far due smorfie: devono per forza raccontare quello che sta succedendo e ti assicuro, io che ho fatto questo mestiere, sia pure per la carta stampata, è molto difficile avere per tempo tutte le informazioni, saperle organizzare nella testa, riferirle… E’ un mestiere non semplice. Diverso è nella TV dello spettacolo, in cui, sono d’accordo, c’è un uso e un abuso del corpo femminile.
GP Hai dedicato molti articoli al tema della prostituzione. Sei favorevole a questa idea che oggi va per la maggiore, della creazione di luoghi chiusi dove svolgere questa professione?
CV Sono assolutamente contraria: non sarebbero le case di tolleranza di una volta, ma il meccanismo resta quello. La libertà delle donne viene comunque molto limitata. Finirebbero in un mondo da cui è difficile uscire. Poi c’è la tratta, con donne che vengono da altri paesi, spesso portate qui con l’inganno o con forme di costrizione, anche di tipo sentimentale, del tipo. “vieni con me in Italia che ci sposiamo” e poi queste donne finiscono sul marciapiede. C’è anche il problema delle minorenni, delle ragazzine che si prostituiscono. E’ un mondo pericoloso, che non può essere trattato con superficialità. La creazione di luoghi chiusi darebbe una specie di placet statale a questo fenomeno. In Svezia ad esempio la pensano al contrario. Sono andata lì per fare un servizio un po’ di anni fa, ho visto che dopo l’introduzione di una legge che punisce il cliente la prostituzione non è scomparsa, ma è diminuita. Quella legge ha anche permesso una certa penetrazione, nel mondo maschile, del sentimento di vergogna per essere andati con una minorenne o con una ragazza che era lì contro la sua volontà. L’idea che poi potessero arrivare a casa delle citazioni giudiziarie per quello che avevano fatto ne aveva scoraggiato almeno una parte.
GP Che rapporto hai con il tempo che passa ? Sei favorevole a questa tendenza moderna che ci vuole tutti belli e giovani a vita?
CV La trovo penosa: penso che a ogni età le persone possono essere piacevoli e piacenti, e possano mantenere senza fatica i rapporti con gli altri, con gli amici e le amiche, con persone dell’altro sesso. Tutto questo però non può avvenire sulla base di una falsificazione dell’età. Le carte in tavola vanno messe comunque… Poi bisogna giocarle bene.
GP Hai scritto un libro anche su Enrico Berlinguer, un uomo quasi per niente virile, ma molto amato dalle donne. Come mai?
CV Lui era popolare fra le donne per ragioni anzitutto politiche. Fra l’altro Berlinguer ha aperto molti spazi alle donne in politica, a cominciare dal suo partito. Era rimasto molto colpito dalla capacità delle donne di fare delle cose importanti. Come quando si vinse il referendum sul divorzio: lui era convinto di perderlo, e invece si vinse, anche per il voto femminile, dato in grande maggioranza in quella occasione. Berlinguer aveva capito la forza delle donne, la loro modernità. Era un amore reciproco.
GP Oltre che di Berlinguer hai scritto la biografia di un personaggio molto diverso, Dario Fo. Lo hai conosciuto personalmente? Cosa rendeva secondo te speciale la sua relazione con Franca Rame?
CV Certo, l’ho conosciuto personalmente ed ho seguito per anni, passo passo, il suo lavoro, soprattutto quando fece la scelta di abbandonare il così detto teatro borghese e di fare il teatro di strada, di piazza. Io vivevo a Milano all’epoca ed ero molto appassionata a questo suo modo di fare teatro. Ero incantata dalle sue capacità di attore, dalle sue capacità creative, dalla capacità di trasformare tutto in teatro. Mi diceva sempre: ricordati che tutto è teatro nella vita. Con Franca avevano un rapporto veramente fortissimo, anche perché avevano, come coppia, una straordinaria divisione dei ruoli. Dario era quello che inventava, creava, ecc, Franca quella che teneva su la baracca, pur essendo brava anche lei come attrice. Era lei che teneva su la compagnia, che si preoccupava di trasformare i testi di Dario, che spesso erano dei canovacci, delle improvvisazioni, in testi scritti. Se abbiamo una raccolta completa dei lavori di Dario Fo lo dobbiamo a Franca Rame. Anche dietro il Nobel Franca ha avuto un grande peso. Nella motivazione del Nobel del resto lei è citata come coautrice. Io ero una loro amica e ho avuto la fortuna di andare con loro su un piccolo aereo ad assistere in Svezia al Nobel. Erano una bella coppia, anche se Dario era un po’ un farfallone e Franca a volte ha sofferto molto.