di Maria Teresa Fossati
In Italia calano le nascite, diminuiscono i matrimoni e aumentano le separazioni, magari non seguite da divorzio. I giornali lo segnalano allarmati: sono spesso i giovani che hanno difficoltà a reggere il matrimonio. Alla prima lite un po’ consistente parlano di andare dall’avvocato. Qualche volta poi non litigano neppure, non discutono, non “fanno fuori” le tensioni. Lasciano scorrere le ostilità finché il dissidio è incancrenito, la situazione insostenibile, e la soluzione più coerente è quella che ciascuno vada per la sua strada.
Si dice che “quando c’é l’amore tutto si aggiusta”. Ma non è sempre così perché il matrimonio oggi è una mediazione tra due persone che hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri l’uno verso l’altro. E poi l’amore va coltivato, e il primo gesto da fare è di parlarsi e di ascoltarsi a vicenda.
Ma sembra che nessuno abbia insegnato a questi giovani come si parla con il partner, e soprattutto nessuno li ha abituati ad ascoltare l’altro. Se le ragazze si sono un po’ “fatte” con qualche lettura sull’argomento, i maschi di solito sono proprio digiuni. Il risultato è che dopo i primi idilliaci mesi di matrimonio, cedono alle prime delusioni, al tran-tran poco elettrizzante, all’affiorare delle divergenze di carattere.
Il fatto è che in questi casi i giovani arrivano al matrimonio dopo una vita trascorsa in una famiglia dove hanno avuti soddisfatti tutti i desideri. Ma sono giovani immaturi, dipendenti, mammoni.
I maschi abituati da mamme che non hanno insegnato loro ad arrangiarsi, si aspettano dalla moglie un uguale trattamento. Le ragazze, che quasi sempre hanno un lavoro, e che fino al giorno prima hanno fatto la stessa vita di studio o di lavoro del loro sposo, ora si rifiutano, come dicono loro, di “servirlo”.
Certo la vita di famiglia è più comoda, ma ottunde la personalità dei giovani, non permette loro una adeguata maturazione personale, li mantiene soggetti ai genitori. I quali a loro volta non fanno niente per tagliare questo cordone ombelicale psicologico. A volte per carenze loro. Cioè si tratta di genitori altrettanto immaturi che emotivamente si aggrappano ai figli instaurando una simbiosi affettiva e psicologica deleteria per entrambi, ma in modo particolare per i figli.
Questi giovani oggi fanno l’amore con la benedizione di mamma e papà, sono liberi di andare e venire, fanno quello che vogliono. Ma restano “giovani”. E quando due immaturi si sposano fanno danni, al partner e agli eventuali figli.
Un tempo i genitori erano più facilmente autoritari e trattavano i figli con durezza perché così erano stati allevati a loro volta, e così voleva il contesto sociale. E poi erano convinti che così li avrebbero “temprati”. I loro figli non sarebbero diventati dei “rammolliti”, sarebbero stati pronti ad affrontare le difficoltà della vita.
Ma forse sacrifici e privazioni sono state fuori misura e i genitori di adesso, o perché hanno letto di psicologia, conoscono Freud e compagnia, sanno cos’è l’Edipo, masticano di privazione, trauma, complesso, e vogliono dare ai figli tutto quello che loro non hanno avuto, o perché vogliono evitare loro tutto il negativo delle generazioni precedenti, insomma mollano su tutta la linea.
Trattano i figli con mitezza, dei figli sono i “migliori amici” o si illudono di esserlo, dimenticando che la differenza generazionale è incolmabile. Sono pronti a dare loro soldi e cose. Ma non danno se stessi, il loro tempo, la loro disponibilità, la loro attenzione. Non li ascoltano perché hanno sempre qualcosa d’altro da fare. Se i figli sono piccoli li coprono di dolci e di giocattoli, li piazzano davanti alla TV e si sentono a posto. Ai grandi concedono tutto e poi si stupiscono se vogliono sempre di più.
Dall’autoritarismo di un tempo si è passati al permissivismo senza il minimo senso critico, ignorando che i figli hanno bisogno di limiti, di indicazioni, di guida, oltre che di affetto, comprensione e rispetto. In una parola avrebbero bisogno di genitori autorevoli, e forse di una vita meno comoda.
Marzo/Aprile 1995 –Anno III- n° 2