Di Giuliana Proietti
Keely Kolmes è una psicoterapeuta sessuologa californiana, esperta di social media e di etica digitale. Ha da poco completato un mandato di tre anni (2013-2016) presso il comitato etico della California Psychological Association, è uno dei rappresentanti della California presso l’American Psychological Association (2015- 2018). Presso l’APA lavora anche per la “divisione 42”, che segue gli psicologi liberi professionisti (quasi 6000, a livello nazionale) per un periodo di tre anni (2015-2018). Infine, Barry Anton, il Presidente dell’ APA 2015, l’ha invitata ad entrare nel suo gabinetto presidenziale. Keely ha 86.300 followers su Twitter. Il suo ultimo libro è: The Paper Office for the Digital Age.
GP Molti pensano che i tradizionali “mass media” siano stati sostituiti dai nuovi “social media”, e che questi rappresentino una continuazione e non un’alternativa all’informazione politica verticistica e all’orientamento commerciale dei consumatori. Cosa ne pensa?
KK Non saprei per quanto riguarda l’orientamento commerciale dei consumatori. Vedo i mass-media come qualcosa che possa intersecarsi con i social media. I social media permettono alle persone di partecipare, commentare e condividere i mass-media. Di conseguenza, le persone sono molto più coinvolte quando si tratta di diffondere o dare forma ad una notizia. Lo vediamo dal fatto che gli hashtags vengono oggi consigliati in televisione, o che le domande formulate su Twitter vengono utilizzate durante le interviste o le notizie. Vedo questi aspetti come intrecciati tra loro e complementari.
GP I professionisti della salute mentale come possono gestire correttamente i social media? Quali sono i suoi suggerimenti, in generale?
KK I professionisti della salute mentale devono avere chiari quali sono i loro obiettivi sui social media. Vogliono parlare della loro vita personale e interagire con gli amici? Oppure usano la rete per commercializzare i propri servizi? O per apprendere? Diversi obiettivi comportano diverse strategie. La mia attenzione tende ad essere su come aiutare le persone a distinguere tra uso personale e professionale, aiutandole a trovare la loro voce autentica e assicurandomi che i professionisti conoscano i principi etici per non violare la riservatezza o creare problematici ruoli multipli. Inoltre suggerisco come sviluppare politiche che possano far parte del consenso informato.
GP C’è un modo corretto in cui potrebbe comportarsi il professionista se un paziente gli chiedesse l’amicizia su uno di questi siti, in modo da riuscire a mantenere il confine fra vita personale e professionale?
KK E’ meglio affrontare tali questioni durante il consenso informato. La mia Practice Social Media Policy*** spiega ai potenziali clienti che non accetto come amici i pazienti attuali e passati sui social media. Naturalmente, il consenso informato è un accordo che resta durante tutta la psicoterapia. Quindi se un paziente tenta di chiedermi l’amicizia, semplicemente ne discuto con lui nella seduta successiva e spiego la logica che c’è dietro il mio rifiuto. Secondo me questo approccio protegge la sua privacy e mantiene il nostro rapporto professionale. Credo che accettare l’amicizia dei pazienti introdurrebbe un elemento sociale che potrebbe potenzialmente diventare una problematica relazione multipla. Ma questo è ciò che ha senso per il mio modo di lavorare.
GP Anche vivere in una piccola città potrebbe esporre i terapeuti alle curiosità dei pazienti sulla loro vita, famiglia, hobby ecc. Perché, a suo parere, questo non dovrebbe verificarsi nel villaggio globale di Internet? Quali sono le differenze, se ce ne sono?
KK Sono d’accordo sul fatto che i social media hanno trasformato molte nostre attività come se vivessimo in una piccola città online. La differenza principale sta nel fatto che il paziente o il terapeuta possono monitorare o esaminare le informazioni sull’altro senza che questa sia un’esperienza condivisa. Tuttavia, queste cose potrebbero accadere anche quando si lavora in piccole città. La migliore strategia è quella di essere preparati a riconoscere le sovrapposizioni, quando esse vi sono. Conoscere le proprie regole lavorative e considerarle in anticipo, per poi discuterne apertamente con i pazienti. “Che cosa dobbiamo fare se ci incrociamo sui social media?” può essere pensato come la nuova versione del “che cosa dobbiamo fare se andiamo a fare allenamento nella stessa palestra?”
GP Che cosa ne pensa della etherapy? A suo parere, questo tipo di terapia potrà sostituire completamente il metodo del “faccia a faccia” in futuro? E’ possibile raggiungere gli stessi obiettivi terapeutici? Cosa ne pensa, ad esempio, della mancanza di contatto oculare, che impedisce al terapeuta di controllare le emozioni del paziente durante la seduta?
KK La ricerca esistente suggerisce che la telemedicina possa essere efficace quanto il trattamento faccia a faccia. Mi chiedo se la terapia faccia a faccia possa un giorno diventare un servizio “premium” per coloro che apprezzano l’interazione personale. Credo inoltre che le persone dovrebbero essere valutate caso per caso per capire se sono adeguate per questo servizio e che una corretta conduzione della terapia dovrebbe includere anche tale valutazione. Mi aspetto che in futuro la tecnologia possa simulare, se non consentire, il contatto oculare. Credo fermamente che la teleterapia possa essere molto utile per le famiglie disgregate o le coppie che vivono lontane. Ma qui negli Stati Uniti ci sono leggi statali che impediscono a molte persone di impegnarsi in tale pratica.
GP Lei ha proposto una “Private Practice Social Media Policy”: perché ha pensato a questo documento e perché secondo lei è importante discutere con i pazienti circa l’uso dei social media durante la prima seduta terapeutica?
KK ho scritto la mia “Private Practice Social Media Policy” nel mio primo anno di esercizio privato della professione. Ero molto attiva sui social media nella mia vita personale, ma volevo sviluppare una presenza professionale online e mi sono trovata a pensare a tutti i potenziali problemi che avrebbero potuto verificarsi online. Ho scritto quel documento, inizialmente, per crearmi un codice etico su come affrontare questi problemi, e poi ho voluto metterlo in parole che il paziente potesse ben comprendere. Lo ritengo parte del consenso informato, e chiedo al paziente di leggere queste regole prima del trattamento, poi molti problemi vengono fuori nel corso della terapia e spesso se ne ritorna a parlare.
GP Lei pensa che un sessuologo dovrebbe avere un approccio diverso ai social media rispetto a uno psicoterapeuta? Quali sono i suoi suggerimenti sull’adozione di corretti comportamenti online quando si deve trattare di argomenti sessuali con i pazienti? Potrebbe indicare alcuni “si fa” e “non si fa”?
KK Anche io sono sessuologa, ma mi attengo al codice etico APA per gli psicologi. Credo che questi principi etici siano appropriati per la mia pratica clinica indipendentemente dal lavoro, sessuale o non, che svolgo con un paziente.