di Margherita Graglia
La società italiana in cui sono cresciute le generazioni passate di persone LGBTI (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender e Intersessuali) è molto diversa da quella attuale in cui le nuove generazioni sono maggiormente visibili, coppie composte da persone dello stesso sesso possono unirsi civilmente e alcune di loro si recano all’estero per ricorrere alla procreazione medicalmente assistita.
Le generazioni del passato intravedevano invece nel matrimonio eterosessuale l’unica possibilità di accedere alla genitorialità o anche al riconoscimento di una normalità desiderata e molte di loro vivevano nell’invisibilità. Anche le persone transgender vivono in un contesto di maggiore visibilità, nonostante gli atteggiamenti negativi nei loro confronti rimangano più apertamente ostili rispetto a quelli manifestati verso le persone omosessuali. Tuttavia, come rilevato nell’indagine Istat del 2011, permangono stereotipi, pregiudizi e comportamenti discriminatori. Si conferma pertanto la necessità di contrastare lo stigma e promuovere l’inclusione sociale.
Quali sono le azioni più efficaci per promuovere l’inclusione?
Acquisire conoscenze scientificamente validate e aggiornate svolge un ruolo cruciale nei processi di cambiamento individuale e sociale, per tale motivo la formazione si prefigura come una delle azioni principali. In particolare la formazione promossa dalle istituzioni e dalle Pubbliche amministrazioni ha l’opportunità di incidere sia sulle credenze e sugli atteggiamenti individuali, sia sulle pratiche istituzionali e sociali.
Anche i professionisti della salute possono contribuire fattivamente alla creazione di una società più inclusiva, attraverso l’adozione di pratiche professionali che sappiano tener conto delle specificità LGBTI. Si tratta ad esempio di adottare un linguaggio inclusivo e rispettoso.