Dott.ssa Sara Fabbri
Dottoressa in Psicologia
Allieva del Centro Italiano di Sessuologia
Diritti della donna: verso la liberazione dalle mutilazioni genitali femminili?
Le mutilazioni genitali femminili (MGF) sono un fenomeno vasto e complesso, che include pratiche tradizionali che vanno dall’incisione all’asportazione, parziale o totale, dei genitali femminili esterni. Bambine, ragazze e donne che le subiscono devono fare i conti con rischi gravi e irreversibili per la loro salute, oltre a pesanti conseguenze psicologiche.
Oltre che umilianti, le mutilazioni genitali sono estremamente dolorose. Le bambine che vi sono sottoposte possono morire per cause che vanno dallo shock emorragico (le perdite ematiche sono cospicue) a quello neurogenico (provocato dal dolore e dal trauma), all’infezione generalizzata (sepsi).
Per tutte, l’evento è un grave trauma: molte bambine entrano in uno stato di shock a causa dell’intenso dolore e del pianto irrefrenabile che segue.
Le conseguenze di lungo periodo sono la formazione di ascessi, calcoli e cisti, infezioni e ostruzioni croniche del tratto urinario e della pelvi, forti dolori nelle mestruazioni e nei rapporti sessuali, infertilità, incontinenza, maggiore rischio di mortalità materna per travaglio chiuso o emorragia al momento del parto.
Soffermiamoci per un attimo sull’importanza delle parole: il termine “circoncisione femminile” deriva dalla letteratura dell’Africa di lingua inglese ma ha avuto un diffuso appeal anche in Occidente, sia nelle trattazioni tecniche sia divulgative. La qualificazione “femminile” si oppone chiaramente a “maschile”, creando una sorta di analogia.
Erroneamente, la circoncisione maschile – il taglio del prepuzio del pene, senza danneggiamento dell’organo sessuale – è stata paragonata alle procedure di resezione dei genitali femminili, che costituirebbero pratiche ben più estese (Rahman e Toubia).
Le studiose A. Rahman e N. Toubia, nel libro “Mutilazione genitale femminile” spiegano quanto la comparazione veicoli una informazione errata, chiarendo quali sarebbero le conseguenze pratiche dell’accettazione della sottintesa analogia.
L’equivalente maschile della clitoridectomia (in cui viene rimosso in tutto o in parte il clitoride) sarebbe l’amputazione della maggior parte del pene.
Mentre l’equivalente maschile dell’infibulazione, che coinvolge non solo la clitoridectomia ma la rimozione o la chiusura del tessuto sensibile attorno alla vagina, sarebbe la rimozione di tutto il pene, delle sue radici, dei tessuti molli e di parte della pelle scrotale.
Inoltre, precisano le studiose, «il messaggio sessuale diffuso da ciascuna pratica» sarebbe di segno opposto. Mentre la circoncisione maschile affermerebbe la mascolinità, la virilità e la loro superiorità sociale, la cosiddetta “circoncisione femminile” sarebbe esplicitamente rivolta a mostrare il limitato ruolo sociale della donna e la restrizione dei suoi desideri sessuali.
Dunque, poiché il termine “circoncisione” è astruso rispetto alla realtà delle pratiche di taglio genitale femminile, il rischio nell’utilizzarlo sarebbe quello di veicolare un significato sbagliato.
Come tutte le pratiche radicate all’interno delle società, le mutilazioni genitali femminili non sono, purtroppo, facili da abolire e la semplice creazione di norme e leggi, sia a livello nazionale che internazionale, non è sufficiente. Delle solide leggi sono necessarie per punire coloro che continuano a praticare la circoncisione femminile su bambine e ragazze, ma, allo stesso tempo, c’è urgenza di affiancare la creazione di programmi educativi nelle scuole e campagne informative per gli adulti.
Per tutti questi motivi, le leggi volte all’abolizione delle mutilazioni genitali sono necessarie ed urgenti, ma devono essere accompagnate da processi dal basso verso l’alto, che possano davvero provocare un cambiamento nelle attitudini delle popolazioni. Ciò di cui hanno urgente bisogno gli Stati sono campagne educative, volte al cambiamento di atteggiamento da parte di coloro che ne sono direttamente interessate: le donne.
Campagne informative da parte delle organizzazioni internazionali e non governative sono la chiave per permettere alle donne di esaminare le varie opzioni e le conseguenze delle scelte che andranno a fare, in modo da permettere loro di scegliere consapevolmente se essere sottoposte e/o sottoporre le loro figlie alle mutilazioni.
La buona notizia, in ogni caso, è che c’è un alto margine di miglioramento: tanti Stati hanno adottato leggi che proibiscono le mutilazioni e tanti attivisti e persone influenti si sono schierati contro queste pratiche, facendo campagne educative nelle scuole e nei villaggi per educare e creare consapevolezza nelle bambine, ma anche nei bambini.
Dirie Waris è una modella somala che da bambina è stata costretta alla mutilazione dalla mamma e dalla nonna. Scappata a Londra all’età di 13 anni, oggi Dirie è la portavoce della campagna delle Nazioni Unite contro le mutilazioni genitali femminili e denuncia costantemente queste pratiche. Il suo libro, Fiore Del Deserto, in cui racconta la sua storia, è diventato simbolo della sua lotta e della lotta di tante altre donne che non accettano la società patriarcale in cui vivono e decidono di combattere. Non solo per loro, ma per dare un futuro migliore a tutte coloro che verranno dopo.
Dopo anni di battaglie anche il Sudan, uno dei paesi africani nella quale è ancora molto diffusa, la terribile pratica diventa reato da Maggio di quest’anno. La nuova norma sarà introdotta nel Codice penale con una legge apposita, secondo la quale, da ora in poi chi esegue una mutilazione genitale femminili rischia una pena detentiva di tre anni di carcere oltre a una pesante multa.
Fonti:
Fanpage – Antonio Palma del 01/05/2020
Unicef – Programmi – Protezione dell’infanzia
Osservatorio Diritti – Fabiana Fuschi – 11/10/2018
Osservatorio Diritti – Federica Giannuzzi – 18/05/2020