Gennaro Scione
Psicoterapeuta, Direttore della Rivista di Sessuologia
Monia Predicatori
Psicologa, Socia del Centro Italiano di Sessuologia
STILE DI ATTACCAMENTO E COVID: QUALI POSSIBILI SCENARI FUTURI?.
In questo periodo di pandemia, dove ci si è trovati a dover far fronte a qualcosa che nessuno aveva mai immaginato e a cui tutti, grandi e piccini, hanno dovuto adattarsi velocemente e in modo costrittivo senza poter scegliere, le dinamiche tradizionali della relazione duale e dei primi contatti con l’esterno dei bambini nati in questo ultimo anno, sono stati stravolti. Bowlby nella sua teoria descrive i diversi stili di attaccamento che si sviluppano a partire dai primi mesi di vita del bambino come risultato dei vissuti e delle prime relazioni significative che sperimenta con il caregiver, ovvero con colui che se ne prende cura. La teoria dell’attaccamento si sviluppa infatti su basi cognitive ed evoluzionistiche, quest’ultime fanno riferimento allo scopo principale degli esseri umani, sopravvivere e sentirsi al sicuro. Per lo sviluppo sano dei bambini è necessaria una relazione con il caregiver che sia in grado di farlo sentire protetto e al sicuro, in grado di calmare, attraverso il contatto e il calore, le paure del piccolo. La “basa sicura” è rappresentata da una madre che accoglie, riconosce gli stati d’animo del bambino e reagisce di conseguenza, Bowlby dice che una madre “base sicura” è una madre responsiva e sensitiva. I bambini, dunque, leggono le espressioni e le emozioni degli adulti di riferimento e sviluppano i propri M.O.I. Modelli Operativi Interni, che rimarranno costanti per tutta la vita e saranno il modo con cui entreranno in relazione con gli altri.
Ci si è dunque chiesti, che tipo di modelli operativi interni e che tipo di attaccamento svilupperà un bambino nato negli ultimi due anni? Sappiamo che tra le paure primordiali ci sono la paura della solitudine e dell’estraneo, quale tipo di percezione i bambini avranno rispetto a queste paure e come le risolveranno se uno degli aspetti più importanti per il bambino che è quello di esplorare, al momento è negato o fortemente ridimensionato?
Come verrà interpretato dal bambino l’atteggiamento dei genitori che lo isolano e si isolano da un mondo che sembra inaccessibile e minaccioso?
Come interpretano il modo di avvicinarsi agli altri, caratterizzato da protezioni che non permettono la lettura delle espressioni e delle emozioni delle persone?
Un elemento fondamentale che viene a mancare è l’espressione dei genitori nell’incontro con l’altro, sappiamo che i bambini si basano sulle emozioni dei genitori per leggere il mondo e sviluppare il loro mondo emotivo, in questo momento questa lettura di interazione è pressoché assente. Qual è l’altro pericoloso e l’altro che possiamo fare avvicinare? Dobbiamo ricordare un passaggio fondamentale dell’evoluzione della specie umana, grazie alla posizione eretta l’uomo ha potuto guardare in faccia i suoi simili e vederne le emozioni, potendole quindi riconoscere, elemento questo fondamentale per capire le intenzioni dell’altro e muoversi con sicurezza nel mondo.
Il distanziamento imposto potrebbe essere letto come una scelta dei genitori per sottrarlo a costanti pericoli, comportamento iperprotettivo, che potrebbe far percepire al bambino il mondo come minaccioso, attraverso una visione quasi paranoide. Se i pericoli di migliaia di anni fa erano gli animali feroci e gli estranei, quali tipi di pericoli ci sono oggi? Purtroppo il Covid-19 ha colpito non solo la salute fisica delle persone ma fortemente anche le relazioni, il contatto, l’incontro e quindi tutto il mondo emotivo, che come afferma Bowlby rappresenta i bisogni primari. Di chi si potrà fidare il bambino, se oggi non ci si può fidare? Si può ipotizzare che il bambino dovrà imparare a decodificare il comportamento dell’altro attraverso un codice diverso da quello che da diverse migliaia di anni è stato utilizzato.
Vedere parzialmente il viso dell’altro, potrà fargli sviluppare un’attenzione maggiore alla parte alta del volto e alla postura. Questa attitudine non potrebbe neanche essere mediata dai genitori, che hanno sempre decodificato il comportamento degli altri secondo i vecchi codici. Diversamente, se il bambino non sarà in grado di trovare delle nuove strategie per leggere l’altro, potrebbe sentirsi perso, vulnerabile e in pericolo di vita. Un adulto sano è in grado di comprendere le motivazioni che sono alla base delle regole dettate durante la pandemia, ma un bambino di otto/nove mesi fino ai due anni, come può interpretare i messaggi che arrivano dall’esterno e dalle figure di riferimento? Si può ipotizzare che una madre, “base sicura” potrà trasmettere comunque al figlio un attaccamento sicuro, può però anche succedere che malgrado la madre sia sufficientemente buona la situazione che stiamo vivendo possa essere percepita dal bambino come innaturale. Bowlby ha inoltre sottolineato che il contatto “nutre” e calma il bambino, contatto che il virus non permette, anzi che le istituzioni sconsigliano vivamente se non addirittura ammoniscono. Come vivono i bambini questa richiesta di distanziamento fisico ed emotivo? La mente umana che si sviluppa fuori dall’utero materno e ha bisogno di tempo per la propria crescita evolutiva, è una mente relazionare che comincia con la relazione a due, bambino–caregiver, per poi essere replicata con gli altri.
Grazia Attili, in un articolo sul portale della psicologia e psichiatria, ApertaMenteWeb, descrive i risultati di alcune ricerche condotte nei paesi che hanno vissuto un lockdown, ad esempio per la SARS del 2003, riportando che i sintomi che si sono presentati con maggior frequenza, sono stati quelli relativi ad un grande trauma e stress: Sintomi PTSD, insonnia, depressione, ansia irritabilità (per uno studio condotto a Pechino, in Cina: Mihashi et al. 2009). Inoltre, un una seconda ricerca si è visto che chi era sottoposto ad l’isolamento, rispetto a chi viveva un’emergenza senza isolamento, presentava più sintomi di stress e PTSD è che l’ansietà appariva nei bambini in isolamento con punteggi quattro volte più alti rispetto a quelli riscontarti in coloro che non erano stati isolati, e disturbi mentali correlati al trauma, quali depressione, irritabilità, insonnia, disagi emotivi sono stati riscontrati nel 28% dei loro genitori rispetto al 6% di coloro che non avevano subito restrizioni sociali (Sprang e Silman 2013).
A questo punto ci si rende conto di quale sia l’impatto che stiamo vivendo in questo tempo di pandemia e che un tipo di attaccamento che si potrebbe verificare, potrebbe essere chiamato alla moviola, dove le fasi osservate nel regolare sviluppo di socializzazione del bambino vengono diluite nel tempo, rallentate e/o rimandate. È possibile che il bambino percepisca l’estraneo in modo più minaccioso rispetto a quello che si è potuto registrare prima di questo periodo. Un senso di confusione davanti alle emozioni e alle espressioni dell’altro che sono celate da mascherine è probabile. Se immaginiamo un bambino di circa nove mesi nell’osservazione della “strange situation”, possiamo pensarlo più spaventato dall’estraneo e forse stupito nel vedere un volto non familiare, rispetto a quello che si è osservato fino ad oggi. “Chi è costui che mi appare davanti e perché non mi mostra il suo volto”.
Probabilmente il senso di angoscia legato all’impossibilità di decifrare l’altro rappresenta una minaccia che rischia di non essere risolta. Anche se non abbiamo mai sperimentato una situazione pandemica di così grande entità non solo in termini di numeri, ma anche di paesi coinvolti, praticamente tutto il mondo, l’impatto che questa situazione, rischia di portare è davvero importante.