Educazione fisica ed educazione sessuale sembrano avere un comune destino. Nate entrambe alla fine dell’800, entrambe sono state emarginate dai programmi ministeriali (con una precisa quota di esclusione in più per la seconda) perché l’una ritenuta a lungo troppo poco importante e l’altra, al contrario, considerata troppo importante per poter essere prese sul serio dalla scuola.
D’altra parte il fatto che l’una sia entrata ufficialmente ed organicamente nella programmazione scolastica mentre l’altra sia presente oggi solo occasionalmente ed ufficiosamente, non toglie che entrambe abbiano suscitato più discorsi che attenzione. Così al tanto propagandato e difeso mens sana in corpore sano non si è di fatto accompagnata una adeguata attività didattica, come al riconoscimento che l‘essere umano è un essere sessuato non è seguito un congruo intervento. Anche l’insegnante di educazione fisica ha subito (forse ancora oggi) emarginazioni e squalifiche così come avviene per l’ipotetico insegnante di educazione sessuale che, solo a nominarlo come possibile, suscita il riso e determina sguardi ammiccanti quasi dovesse essere un satirello erotomane.
Ma le due materie hanno avuto anche occasioni di integrazione. Cosa inevitabile data la valutazione riduzionistica di molti che considerano entrambe occuparsi esclusivamente del corpo. Così non solo la produzione filmica scollacciata degli anni settanta evocò in chiave comico-erotica la figura della insegnante di educazione fisica e delle sue allieve – tutte procaci e generose nel mostrare le proprie forme – ma anche il mondo delle persone serie ha accomunato il sesso alla attività ginnica. A volte contrapponendo al propagandato valore salutare di quella attività, la degenerazione fisica prodotta dall’uso non riproduttivo del sesso e avvalendosi dello sport come antidoto dell’onanismo. Altre ricamando sul fascino evocato da una professione che non appartiene ai lavori donneschi. Come il nostro De Amicis che parla di desiderio, di sesso, di carne, di esuberanza fisica nel suo racconto, forse il migliore, scritto nel 1892 e titolato appunto “Amore e ginnastica”. Altre infine associando le due funzioni educative: nel marzo 1967 infatti il Senatore democristiano Samek Lodovici propose al Senato un ordine del giorno per discutere della “educazione sanitaria, sessuale ed etica della gioventù” nelle scuole indicando, quali docenti, oltre all’insegnante di scienze e di religione, quello di educazione fisica. Il tutto non ebbe seguito, ma consentì ai detrattori della proposta la battuta: “gli insegnanti di ginnastica dovranno occuparsi non solo di quell’attrezzo ginnico che chiamasi cavallo, ma anche del cavallo… dei pantaloni.”
Non siamo nelle condizioni di sapere quanto male o quanto bene abbia fatto al fisico e al sesso la sostanziale assenza dall’educazione scolastica (fatte salve le eccezioni affidate alla sensibilità dei singoli insegnanti), certo è che si è rinunciato ad assumere il controllo nell’uno e nell’altro campo lasciando agli automatismi culturali il compito di agire.
La cultura degli ultimi due decenni ha riscoperto l’importanza della cura del corpo e, favorita dalla possibilità di produrre e vendere qualsiasi cosa che riguardi l’attività fisica, ha creato consensi e linguaggi: possiamo oggi distinguerci in palestrati/e e non palestrati/e. Analogamente si potrebbe dire per il sesso: la maggiore disponibilità delle ragazze al rapporto sessuale, la condanna della prostituzione come occasione iniziatica, la considerazione della esperienza sessuale come manifestazione d’affetto, consentono di dividere i/le sessuati/e dai/lle non sessuati/e.
Non sempre i palestrati/e sono sessuati/e o i non palestrati/e sono non sessuati/e e d’altra parte si stenta a individuare quale è la condizione auspicabile in termini di realizzazione personale e valoriale.
Il modello ideale del palestrato sessuato si presenta troppo legato all’efficientismo estetico-sessuale per considerarlo risultato di una umanizzazione e per contro il non palestrato-non sessuato suscita idee depressive.
Ma se questi ultimi sembrano confermare la vecchiezza di una cultura prossima alla scomparsa, i palestrati-sessuati dovrebbero poter essere interpretati come segno di un bisogno per lo più ignorato della scuola e della famiglia, ma che, se adeguatamente corrisposto, può forse consentire di strutturare nuove forme di crescita personale, valoriale e culturale. Non si tratta ovviamente di celebrare l’efficienza dei bicipiti, l’assenza di celluliti (palestrismo) o l’abilità nell’uso delle tecniche erotiche (sessualismo), ma di riconoscere quanto c’è di positivo nel corpo e nel sesso. Corpo e sesso che sembrano non riuscire a scrollasi di dosso l’anatema che già da molti secoli li ha trasformati nella rappresentazione del male. Corpo e sesso da intendersi come luoghi privilegiati dell’esistere, luoghi di incontro e integrazione della ragione, degli affetti, delle emozioni.
Novembre/Dicembre 2001 –Anno IX- n° 3
In “Frammenti di Sesso” CIC, 2005