06 - 03 - 1998

Finalmente possiamo dichiararci impotenti senza vergogna, dopo aver a lungo cercato di nascondere la nostra vera condizione alimentando il mito del maschio superdotato, dopo aver taciuto con la moglie e con le amanti, dopo aver occultato a parenti ed amici il nostro segreto, dopo aver a lungo sofferto se qualche medico incauto chiamava impotenza la nostra mancanza di erezione, possiamo abbandonare le vesti del seduttore, sperimentare il piacere catartico della verità e dirci insicuri, incerti inesperti e, infine, anche e soprattutto impotenti. Forse perché abbiamo la pillola che, volendo, provvede al recupero, forse perché siamo stanchi di vantare le eccezionali nostre prestazioni, forse perché l’impotenza è la scelta culturale dell’uomo occidentale che si avvicina al 2000, di certo per la prima volta possiamo tutti conoscere risultati di ricerche che stabiliscono alte percentuali di impotenti, leggere interviste nelle quali noti personaggi dichiarano i propri insuccessi, sia pure transitori o la assunzione del Viagra, sia pure per prova.

In un momento storico in cui il femminismo non sembra essere particolarmente aggressivo, l’uomo abbandona ogni difesa, svela i suoi segreti, confessa le proprie inabilità e non a caso sceglie un look che ne indica la resa: imita abiti e colori femminili, si rade il viso e il capo rinunciando con i capelli anche alla virtù del coraggio e ai poteri della virilità che essi simboleggiano.

Che si stia affermando una certa moda maschile e che si sia fatto un gran parlare del Viagra e di tutto ciò che può riguardarlo è inconfutabile, ma sarà poi vero che ci si può dichiarare impunemente e senza timori o il momento di notorietà, unico nella storia della clinica sessuologica, che sta interessando l’impotente, è solo il risultato della necessità di manipolare le notizie, di enfatizzare episodi scarsamente rilevanti, di alimentare la curiosità per un argomento, il sesso, che non sembra richiamare le attenzioni di un tempo.

Trascorsi i clamori suscitati dai media, gli schermi a difesa della virilità potranno essere recuperati e qualcuno potrà pentirsi per aver troppo precipitosamente accolto l’invito a pubblicizzare la propria impotenza, tuttavia difficilmente saranno recuperate le vecchie posizioni, già da tempo certa virilità è stata identificata con la violenza e quanto è avvenuto in occasione della commercializzazione del Viagra, è espressione di un percorso che sta diversamente dimensionando la relazione uomo-donna e che richiede una costante e quotidiana revisione di pensiero, di comportamento e quindi di linguaggio.

Mentre si identificheranno nuovi galatei, uscirà di norma un certo uso delle parole, certe espressioni che si accolgono ancora acriticamente. Un esempio fra i tanti possibili lo prendiamo dalla mitologia: “Medusa era di una bellezza meravigliosa – scrive traducendo le Metamorfosi (IV, 794-801 Einaudi, 1994) di Ovidio il suo curatore – e fu desiderata e contesa da molti pretendenti, e in tutta la sua persona nulla era più splendido dei capelli. Si dice che il signore del mare (Poseidone alias Nettuno) la violò in un tempio di Minerva (alias Atena). La figlia di Giove […] perché il fatto non restasse impunito, trasformò i capelli della Gòrgone in schifosi serpenti”. Ancora più esplicito è il passo di Pierre Grimal (Enciclopedia dei miti. Garzanti 1987): “la collera di Atena s’abbatté sulla giovane perché Poseidone l’aveva violentata in un tempio consacrato alla Dea”. Non siamo in grado di sapere se le cose sono andate come sono descritte, a noi comunque si racconta che la bella Medusa, quella delle tre Gòrgoni che aveva anche la disgrazia di essere mortale, violentata e, come riferito in altra parte, ingravidata da Nettuno, venne spaventosamente punita. Gli autori dei due scritti non sembrano essersi posti troppi problemi, d’altra parte se l’uomo-Nettuno doveva essere quello sciupafemmine così caro agli ideali maschili non c’è di che sorprendersi: Medusa non doveva farsi violentare in un tempio consacrato.

Marzo/Aprile 1998 –Anno VI- n° 2

In “Frammenti di Sesso” CIC, 2005