Recensione di Giuliana Proietti
Lo “hookup” è un termine inglese (che in italiano significa letteralmente “collegamento”, “allacciamento”) ed ha una definizione ambigua, in quanto può indicare sia il baciarsi, sia qualsiasi forma di attività sessuale fisica tra partner.
Questo termine viene ormai facilmente associato ai comportamenti che gli studenti tengono all’interno dei campus universitari americani, ma ovviamente non si limita ad essi.
Esso rappresenta una cultura che accetta e incoraggia gli incontri sessuali occasionali, quelli cioè che si concentrano soprattutto sul piacere fisico, senza includere necessariamente legami emotivi o impegni a lungo termine.
Per chi fosse interessato all’argomento è da poco uscito un libro, in lingua inglese, di Lisa Wade, docente di sociologia presso l’ Occidental College di Los Angeles (American Hookup: The New Culture of Sex on Campus) basato sia su indagini condotte dalla stessa autrice attraverso interviste con i suoi studenti universitari, sia su studi condotti da altri ricercatori.
Lisa Wade inquadra questo nuovo fenomeno all’interno della storia della sessualità, dell’evoluzione dell’istruzione superiore e, soprattutto, della mai del tutto compiuta rivoluzione femminista. Malgrado la libertà dei comportamenti infatti, la Wade sostiene che i costumi sessuali non si siano ancora abbastanza evoluti per rendere questa cultura del sesso occasionale davvero umana e sicura: a suo modo di vedere gli uomini controllano ancora l’amore e il piacere, trasformando le donne in disperate e ansiose rivali.
La Wade descrive qualche episodio che si è sentita raccontare dai suoi allievi, come ad esempio la festa del Burlesque. Tutte le ragazze sono invitate a vestirsi da prostitute, si comincia con uno strip ed è solo una questione di tempo, prima che la festa raggiunga la sua “fase hot” in cui tutti gli invitati, ormai ubriachi, fanno sesso nei più svariati modi.
La Wade, come le rimproverano alcuni critici puritani, non è una bacchettona: riconosce infatti anche gli aspetti positivi della cultura che sta studiando, nel senso che la considera una conseguenza di molti movimenti sociali progressisti, che ha dato agli studenti “un senso gioioso di liberazione sessuale”.
Ecco come l’autrice definisce la cultura dello hookup: “un incontro sessuale fra ubriachi, di tipo ambiguo, che non dovrebbe significare nulla, e capitare solo una volta. (…) Il suo scopo è il divertimento, un’espressione apparentemente libera della propria sessualità, ma all’interno di parametri stranamente severi. E’ spontaneo, ma rispetta un copione; è ordine nel disordine; una routine indisciplinata. Si tratta, in breve, di un miracolo di ingegneria sociale”.
L’autrice non ritiene che gli studenti universitari di oggi facciano più sesso rispetto alle generazioni precedenti: forse ne fanno anzi di meno, solo che oggi il sesso occasionale viene pensato, descritto, condiviso sui social e pianificato. La differenza sta nel considerarlo “normale”, in quanto facente parte della vita stessa del college: a suo avviso è ormai un imperativo, piuttosto che un’opzione, vista la diffusione di questa cultura dell’hookup, coercitiva e onnipresente, alla quale tutti gli studenti si devono sottoporre.
E’ come, osserva l’autrice del libro, se la cultura dello sballo e della trasgressione fosse stata oramai istituzionalizzata, per cui ci sono modi in cui i ritmi e l’architettura stessa dei college contribuiscono a facilitare la cultura del sesso occasionale.
L’ingrediente necessario perché tutto questo avvenga è l’alcol, ovvero la frequentazione di un “drunkworld“, un mondo parallelo un po’ pazzerello, in cui l’unico divertimento possibile sembra dato dallo sballo e dal sesso occasionale.
Nel libro vengono descritte le conversazioni in cui studenti dello stesso sesso si raccontano quello che è successo la sera prima.
La sessualità con uno sconosciuto è del resto un tema sicuramente emozionante e molte sono le curiosità da raccontare e da ascoltare.
Questi reportages non avvengono solo dal vivo, ma continuano online, sui social media. Gli studenti utilizzano ogni app e ogni piattaforma (in particolare Tinder, Instagram, Facebook e Snapchat) per conoscersi, collegarsi, incontrarsi e fare sesso. Tutti questi spazi online sono dunque altamente sessualizzati fra gli studenti dei campus universitari e la vita sessuale di ciascuno è un fatto pubblico, più che privato.
Nel libro si parla anche di chi non ci sta ad entrare in questo mondo dello sballo, coloro cioè che rimangono sobri in camera, nonostante il ticchettio dei tacchi alti e le urla provenienti da fuori. Chi non partecipa al sesso occasionale si sente incredibilmente isolato: è come se si stesse perdendo una esperienza davvero fondamentale della vita, qualcosa che rientrava nelle sue aspettative al momento dell’ingresso all’università. Le amicizie nel campus si cementano proprio nel partecipare a questi party: vuoi mettere come ci si può sentire amici del compagno di stanza, se lo si è aiutato a tenere indietro i capelli mentre stava vomitando?
Amicizia significa divertirsi insieme, ma anche proteggersi reciprocamente dai pericoli, osserva la Wade.
Molti studenti approdano al college proprio per poter approfittare del particolare divertimento che l’università ha da offrire. Restarne fuori significa sentirsi dei “diversi”, persone che potrebbero giudicare male chi si dedica a questi passatempi e per questo sottoposti a feroci critiche da parte dei compagni che costituiscono la maggioranza pro-sballo.
Tra chi si astiene da questi comportamenti ci sono però ragazzi che non lo fanno volontariamente, per scelta: i meno ricercati, osserva l’autrice, sono le persone di colore (in particolare ragazze nere e ragazzi di etnia orientale), i gay e le persone di bassa classe sociale.
Secondo l’autrice ciò che si può oggi osservare nei campus universitari non è altro che la cultura americana contemporanea, racchiusa in un microcosmo. Ciò che si verifica in questi ambienti universitari è quasi un concentrato, cristallizzato, di molti dei valori americani esistenti oggi sulla sessualità: “…E quindi penso che chiunque, di qualsiasi età, che sia andato al college o no, sia in grado di riconoscere molte di queste dinamiche anche nella propria vita”, afferma giustamente la Wade, dal momento che gli studenti non vivono in un mondo a parte e queste idee sul sesso le hanno già acquisite prima di entrare al college (e probabilmente le applicano anche se non frequentano un college).
Nei campus universitari si può desiderare stare con un altro solo per fare sesso, ma dire “ti voglio bene” o mostrare i segni dell’amore è severamente vietato, in quanto non rientra nei canoni.
Secondo la Wade è questa dinamica che sta colorando le interazioni di tante persone in America, sia quelle che fanno sesso occasionale, sia quelle che hanno una relazione stabile: si avverte la paura di mostrarsi troppo bisognosi, troppo appiccicosi, troppo onesti e aperti con l’altro, mostrando i propri sentimenti e i propri affetti.
L’aspetto più negativo di questa cultura, osserva la Wade, è strettamente collegato alla violenza sessuale, in quanto essa in questi ambienti si mimetizza: avere rapporti sessuali con qualcuno che è estremamente ubriaco è normale, nessuno se ne stupisce, e per questo i violentatori seriali possono agire indisturbati.
Questi comportamenti violenti peraltro portano ad un certo tipo di emulazione, al punto che anche il ragazzo in genere più cortese e sensibile verso l’altro sesso può commettere errori di giudizio, per essere troppo aderente verso le aspettative della cultura dello hookup. E’ difficile infatti per uno studente, peraltro in genere ubriaco, capire la linea di demarcazione fra il comportarsi da macho e l’essere un violentatore.
Gli studi citati nel libro riguardano in particolare le statistiche: circa un terzo degli studenti presenti nel campus non ha mai provato il sesso occasionale. Degli altri due terzi, in media ogni studente ha avuto, nel corso dei quattro anni di college, otto incontri sessuali occasionali, uno a semestre (quindi molti meno di quello che gli studenti direbbero).
Tra chi si è concesso la pratica del sesso occasionale tuttavia, uno su tre sostiene che le sue relazioni intime nell’ultimo anno sono state piuttosto “traumatiche” o “molto difficili da gestire”.
Se il sesso sta causando agli studenti ansia e preoccupazioni, dice allora la Wade, il problema non è nel sesso occasionale in sé, quanto nella cultura sottostante a questi comportamenti, che è ancora strettamente legata ai ruoli di genere del passato.
In particolare, molte ragazze mostrano oggi dei comportamenti assertivi, se non aggressivi, in campo sessuale, in quanto vogliono mostrare di aver superato tutti i tabù sessuali che avevano le donne nel recente passato; vogliono sentirsi moderne, appartenenti ad una società libera. In realtà esse fanno di tutto per essere sexy e per piacere sessualmente agli uomini, ma continuano a prestare poca attenzione al proprio piacere sessuale.
Sebbene questa cultura del sesso libero debba molto al femminismo e al movimento di liberazione omosessuale, essa non è, secondo l’autrice, molto “womanfriendly”, dal momento che tende ad essere molto “eteronormativa”, così come prevalentemente “bianca” ed escludente verso le minoranze e verso le ragazze che non sono considerate “calde”.
Questa cultura è molto simile alla cultura dello stupro, in quanto impone idee e pratiche che tendono a “naturalizzare, a giustificare, ad esaltare la pressione sessuale, la coercizione, la violenza”.
La Wade conclude il libro dispensando molti consigli: ai ragazzi, ai colleges, ai genitori.
Il primo consiglio che l’autrice dà ai ragazzi che entrano in un college è questo: “se non ti piace, pensa che ciò è perfettamente normale”. Non tutti sono tagliati per questo tipo di vita, ma non per questo occorre sentirsi dei diversi: è sbagliato adeguarsi contro voglia ad uno stile di vita che non si condivide.
Altro consiglio: il rapporto sessuale dovrebbe essere sempre rispettoso; non importa che tipo di rapporto sessuale hai, con chi, o in quali circostanze. Se non c’è rispetto, se non c’è empatia, c’è qualcosa di sbagliato. Un conto infatti è dire che al rapporto seguirà una relazione o un grande amore, un conto è pensare che ci si debba accoppiare senza curarsi minimamente dell’altro, in un clima di puro sfruttamento sessuale.
E cosa dire delle amministrazioni dei college, come gestiscono questa cosa? I colleges americani, ricorda la Wade, una volta erano molto seri; essi si proponevano di formare la nuova classe dirigente. Inoltre, spesso erano di ispirazione religiosa. Oggi, se si guarda al materiale pubblicitario di queste università, si osserva che c’è molta enfasi sul tempo libero degli studenti e sui vari svaghi che vengono offerti. Si mostrano foto di piscine, palestre, mense affollate, ecc. e pochissime immagini di studenti che studiano.
I college hanno praticamente deciso, secondo l’autrice del libro, di rinunciare ad ogni responsabilità per quanto riguarda la vita sociale degli studenti; essi in qualche modo accettano questa cultura dello sballo, pur di portare gli studenti al campus, dimenticando non solo i pericoli sessuali dovuti alla promiscuità, ma anche quanto sia pericoloso questo eccessivo bere fra i giovani studenti, per i coma etilici e gli incidenti (anche mortali e invalidanti) dovuti allo stato di ubriachezza. Per non parlare dei traumi dovuti alle violenze sessuali.
I colleges, secondo Lisa Wade, dovrebbero dunque assumersi maggiori responsabilità per cercare di fornire uno spazio sicuro per i giovani, affinché essi possano imparare e crescere, imparando però anche a rispettarsi.
Infine, la Wade da qualche consiglio anche ai genitori: “Penso che dovremmo iniziare ad insegnare ai bambini ad apprezzare anche le cose che sono considerate femminili in questo mondo. Quello che dobbiamo smettere di fare. come genitori, è agire come se tutto ciò che appartiene allo stereotipo maschile abbia sempre maggiore valore. Dovremmo incoraggiare i nostri ragazzi ad abbracciare il loro lato femminile, così come quello maschile, in modo che diventino esseri umani completi”.
La società, avverte la Wade, non si senta esclusa: “Gli elementi corrosivi della cultura dello hookup fanno parte della nostra vita: nei nostri posti di lavoro, in politica, nei media, nelle nostre famiglie, fra i nostri amici e si, anche nei bar e nelle camere da letto … Non ha senso dunque puntare il dito contro gli studenti dei college. Loro sono noi. Se dobbiamo correggere la cultura dello hookup, dobbiamo correggere la cultura americana”.