di Agnès Giard
Ci sono Paesi in cui le donne non hanno il diritto di circolare a cavallo di una moto, in quanto devono rimanere “donne”. Ci sono altri Paesi che incoraggiano le atlete a ridurre il loro clitoride in modo da rimanere nella categoria “femminile”. Cosa è peggio?
Il 2 gennaio 2013, Suaidi Yahya, Sindaco di Lhokseumawe (la seconda città della provincia indonesiana di Aceh), ha annunciato che vieterà alle donne di sedersi a cavalcioni su veicoli a due ruote, “per seguire i precetti della Sharia” (?). “Non è accettabile per una donna sedersi a cavalcioni. Applichiamo la legge islamica qui” ha detto. Con il pretesto che questa postura darebbe alle donne un aspetto troppo maschile o troppo provocatorio, è ora vietato sedersi nel posto posteriore di una moto a cavalcioni. Devono sedersi all’amazzone, precariamente arroccate dietro al pilota. Che importa se così si mettono in pericolo le loro vite. E’ più femminile, ha detto il sindaco, che commenta: “Vogliamo onorare le donne attraverso questa legge, perché sono creature fragili“.
La donna è una creatura da fragilizzare. Può sembrare contraddittorio esporre le donne al rischio di una caduta rovinosa per il fatto che esse sono più fragili. Ma le contraddizioni rivelano spesso una logica inarrestabile: l’opera di addestramento mentale passa attraverso il corpo. Poiché le donne sembrano essere “naturalmente” fragili, dobbiamo indebolirle e questo può passare attraverso tutti i tipi di espedienti. Siamo in grado di costringerle a camminare sui tacchi alti, per esempio. A coltivare un look famelico. A ridurre le dimensioni del loro sesso (chiediamo agli uomini di ridurre le dimensioni del pene?). O di sedersi all’amazzone. Perché sarebbe inutile contestare Suaidi Yahya. Perché il suo ragionamento, anche se assurdo, è lo stesso che abbiamo tra le giovani occidentali quando si impongono loro regimi che minano la loro vita: il 90-97% delle anoressiche sono ragazze. Tutte soffrono di carenze ossee irreversibili. Ecco come produrre l’immagine della femminilità.
“Se corri troppo veloce, il tuo utero cadrà”. Nella maggior parte delle società umane, la femminilità è artificialmente costruita sulla base di un discorso che impone il dovere di essere più piccole, più sottili, più leggere, più vulnerabili, più instabili, più tenere e deperibili. Questi discorsi servono per evitare che la donna impari a rinforzare i propri muscoli, di nutrirsi, di istruirsi o di difendersi come gli uomini. Queste misure assumono la forma di penalizzazioni. In Occidente, le donne non avevano il diritto di correre la maratona fino a tempi molto recenti. “Dicevano alle donne: se ti affatichi troppo, il tuo utero cadrà”. Come ricorda l’americana Kathrine Switzer, la prima donna a completare una maratona con un pettorale registrato, anche i medici sono coinvolti nella disinformazione. Quarantadue chilometri di gara? Impossibile per il corpo di una donna, dicono. Bisogna vedere il film “Free to run” (uscito nelle sale a febbraio 2016) per capire.
“Certificato di femminilità” obbligatorio ai giochi olimpici. Nel 1967, l’americana Kathrine Switzer ha illegalmente partecipato alla maratona di Boston registrandosi con il nome di un uomo per passare inosservata. Il direttore della maratona la notò e cominciò a correrle dietro per strapparle il suo pettorale ed espellerla dalla gara. Difesa dal fidanzato, riuscì a terminare la gara. Fu uno shock. La Switzer è diventata il simbolo del diritto femminile all’uguaglianza nello sport. Negli anni ’60, le donne non potevano percorrere più di 800 metri nelle competizioni ufficiali. Esse non ci riescono fino al 1984, durante la maratona olimpica di Boston: qui finalmente viene loro consentito di partecipare. E ancora. Viene loro imposto il “test di genere” per allontanare coloro che appaiono troppo virili. Questa storia inizia negli anni Trenta, come la racconta Anaïs Bohuon in un affascinante libro sulla storia delle competizioni sportive. Le straordinarie conquiste sportive di alcune atlete di sesso femminile seminano scompiglio nelle menti. Questa cosa è contro le regole.
Campionesse con le ali tarpate. Nei decenni successivi (1940-1960), molte atlete sono accusate di non essere ” donne autentiche”, tra cui le campionesse del blocco sovietico, dai corpi inquietanti. I loro organi sessuali vengono esaminati. Il primo controllo sistematico sulla sessualità viene introdotto nel 1966. Si tratta all’inizio di un test ginecologico. Poi si aggiunge il test di Barr per verificare che le atlete abbiano i due cromosomi X. Tra il 1972 e il 1991, su circa 6561 atlete sottoposte a test, circa 13 sono escluse dalle competizioni perché presentano cromosomi atipici (XXY, Xo , ecc). Ma i medici non sono d’accordo su questo. Si può essere donne con una bizzarra costituzione genetica. Nel 1992 viene introdotto un altro esame genetico, sempre controverso. Verrà eliminato nel 2005.
Le sportive di alto livello sono, per definizione, fuori dagli standard. “In assenza di criteri standard, che si cerca di stabilire, ma che appaiono ogni volta arbitrari e fallibili, la definizione della femminilità resta quindi quella dei canoni culturali che provocano dubbio quando una qualsiasi donna non sia loro conforme. […] Le attuali norme del CIO, in ogni caso, prevedono un’indagine sul sesso delle atlete denunciate come ‘di genere sospetto’. Tuttavia questi criteri estetici che definiscono il genere sono in realtà paradossali, perché nello sport i requisiti e gli effetti fisici di alcune attività favoriscono le donne che, per definizione, trasgrediscono gli standard della femminilità” (fonte: Michael Raz). Molto significativamente, le atlete che vengono stigmatizzate per mancanza di femminilità, sono fisicamente “ricondotte alla normalità” attraverso la rimozione parziale del clitoride: in un articolo pubblicato nel 2013 (proprio nel periodo dal quale le donne residenti a Lhokseumawe, Indonesia, non hanno più il diritto di andare in moto a cavalcioni come passeggere), due endocrinologi francesi denunciano pratiche abusive delle federazioni che impongono vaginoplastiche o, peggio ancora, ablazioni parziali del clitoride nelle loro atlete.
Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e l’Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica (IAAF), che si occupano di rilevare il doping da ormoni maschili, eliminano dalle gare le donne che superano il tasso di 10 nanomoli per litro (nmol / L), il limite minimo per gli uomini. Avere un grande clitoride non ha alcuna influenza sulla produzione di ormoni maschili. Perché imporre alle atlete questa mutilazione sessuale? Le cosiddette “prove” della femminilità sono, qui come altrove, modi travestiti di penalizzare le donne, di creare loro handicap artificiali, per indebolirle, in modo che rimangano, ancora, degli esseri in posizione di inferiorità. Nella loro testa e nei loro corpi.