16 - 05 - 2020

Dr.ssa Margherita Graglia
Psicologa, psicoterapeuta e formatrice
 

Giornata Internazionale contro l’omotransfobia


 
La giornata internazionale contro l’omotransfobia ricorre ogni anno il 17 maggio. Questa data commemora il 17 maggio 1990 quando l’Organizzazione mondiale della sanità ha cancellato l’omosessualità dal manuale delle malattie mentali. Da allora gli orientamenti non eterosessuali non sono più considerati una patologia, ma una variante del comportamento umano. Potremmo pertanto pensare che sia stata raggiunta l’eguaglianza tra le persone eterosessuali e quelle omosessuali. Se il paradigma che patologizzava le identità lesbiche, gay e bisessuali (LGB) ha perso progressivamente terreno nel corso del tempo, rimangono comunque rappresentazioni negative delle identità LGB e il pregiudizio si è spostato su nuovi confini. L’ultimo baluardo delle credenze anti-omosessuale è rappresentato dalle credenze negative nei confronti dell’omogenitorialità . La ricerca che l’Istat ha effettuato nel 2011 rivela che solo il 20% è molto o abbastanza d’accordo con la possibilità di adottare un bambino da parte di una coppia dello stesso sesso. E la stessa legge sulle unioni civili ha stralciato la stepchild adoption, confermando l’idea negativa nei confronti della genitorialità nelle coppie omosessuali.
Se poniamo in confronto la situazione italiana con quella degli altri paesi europei, vediamo chiaramente la distanza che separa il nostro paese dagli altri Stati. Prendiamo ad esempio in considerazione il sondaggio dell’Eurobarometro (2019) – lo strumento di indagine di cui si è dotata la Commissione europea – che rileva come l’Italia sia al di sotto della media europea per quanto riguarda l’inclusione delle persone LGBT. Per esempio, la quasi totalità della popolazione in Svezia (98%) e in Olanda (97%) è d’accordo con l’affermazione secondo cui le persone LGB dovrebbero avere gli stessi diritti di quelle eterosessuali, così come la stragrande maggioranza in Spagna (90%) e in Gran Bretagna (90%). Mentre nel nostro Paese la percentuale è minore (68%), vicino a quella della Grecia (64%) e della Slovenia (64%). Una percentuale che si abbassa ancor di più rispetto al riconoscimento dell’identità di genere nei documenti anagrafici che per l’Italia è al 43%, simile alla Lettonia e Cipro (entrambe al 42%), distante invece dalla Spagna e Malta (entrambe al 83%). La percentuale scende ulteriormente in riferimento alla possibilità di indicare una terza opzione, come X o 0, sui documenti di quelle persone che non si identificano come maschio o femmina: 37% in Italia, 33% in Croazia, distante dal 67% di Malta e dal 63% della Spagna.
Rimane dunque ancora molto da fare perché le identità LGBT siano effettivamente equiparate a quelle eterosessuali e cisgender. Risulta necessario agire a vari livelli. Uno di questi riguarda il livello normativo affinché predisponga leggi che parifichino i diritti, ad esempio allargando l’istituto del matrimonio alle coppie dello stesso sesso e prevedendo la possibilità di riconoscere le famiglie omogenitoriali. Un altro livello fondamentale riguarda la promozione di un cambiamento culturale che sappia incidere sulle rappresentazioni omotransnegative, ad esempio investendo nel contrasto alle discriminazioni e in particolar modo nell’educazione alle differenze dell’identità sessuale. Rispetto a quest’ultimo punto la scuola si configura come uno degli spazi più propizi per investire nella promozione dell’inclusione di tutte, tutti e tutte e per educare le nuove generazioni al rispetto delle differenze.