“A una certa età, certe cose…non si fanno” il monito proferito con asprezza e direi anche con una certa cattiveria, è indirizzato a me che, in bicicletta, sto come tanti altri percorrendo un breve tratto in direzione vietata. Sono le sette di un lunedì estivo e il severo conducente per fermare appositamente l’autobus, sporgersi dal finestrino e rimproverarmi, ha chissà quale rabbia da smaltire. Non penso avesse torto, ma quella frase detta con quel livore sembrava riassumere con straordinaria efficacia quanto andiamo dicendo e leggendo sulla condizione dell’anziano, sulla sua inabilità a vivere come gli altri, i giovani, quelli che si possono permettere certe cose. Non solo, ma la gratuità di un intervento su di una infrazione che non ostacolava certo il procedere dell’autobus e diretto specificamente ad uno dei trasgressori in transito, trasforma quel conducente in una sorta di portavoce di quella componente della nostra cultura che vuole costringere l’anziano alla diversità e all’interdizione.
Inevitabile è per noi includere il sesso fra quelle certe cose che ad una certa età non ci si può permettere. Il tempo del vivere assume nel nostro immaginario la forma di una parabola: dalla nascita alla maturità la linea sale fino ad un culmine dal quale, raggiunto il climaterio, gradualmente si discosta, scendendo più o meno rapidamente. La maturità rappresenta il riferimento normativo per ogni agire e, se all’infanzia e all’adolescenza si riserva comunque un valore positivo per le aspettative che comportano, alle età ultime non rimane che confrontarsi con ciò che non è più possibile. Così in relazione alle proprie rigidità o tolleranze può destare rimprovero o sorpresa il fatto che quanto compete alla maturità possa realizzarsi anche nella terza età. Non sappiamo quanti potrebbero reagire come il nostro conducente di fronte all’infrazione, nel sapere che il 50% delle coppie che hanno superato i settanta anni continuano ad avere un’attività sessuale, di certo molti sono quelli che si meravigliano.
D’altra parte le ricerche sulla sessualità dell’anziano sono tutte orientate a valutare il permanere dell’attività sessuale come se questa esaurisse le componenti dell’essere sessuato e del vivere sessuale. Probabilmente fino a che si utilizzerà l’età giovane-adulta come riferimento normativo e il rapporto sessuale come unico parametro definitorio, non riusciremo a comprendere la natura, le caratteristiche, i vissuti e i comportamenti della sessualità nella terza età. Questo capitolo è tutto da costruire e quel poco che viene detto o è stato oggetto di indagine – su venti testi di geriatria consultati solo tre si soffermano sulla sessualità dell’anziano/a – utilizza sistemi di lettura e decodifica lontani dal linguaggio aderente alla realtà dell’anziano. Si leggono così affermazioni disperanti che invitano alla rassegnazione (gli anziani devono accettare saggiamente la loro impotenza) e più spesso inviti entusiasti sulla necessità di non lasciar perdere secondo la retorica del sesso felice che deve consentire anche di superare le insidie della vecchiezza.
Se, al contrario, riuscissimo a collocare il tempo del vivere su di una retta ascendente potremmo evitare di dover riferire le diverse età ad una norma unica, ciascuna verrebbe qualificata dalle variabili psichiche, fisiche e sociali che le sono proprie e potremmo forse individuare chiavi di lettura della realtà dell’anziano/a che suggeriscano in quale maniera la sessualità intesa come identità di genere e di ruolo, spazio del desiderio, occasione di gioco erotico, luogo della tenerezza e degli affetti, si manifesta nell’età ultima del nostro vivere.
SessuologiaNews Marzo/Aprile 1996 –Ano IV- n° 2
In “Frammenti di Sesso” CIC, 2005