Qualcosa va’ cambiando nella domanda di aiuto per i problemi sessuali, già nel decennio 75-84 avevamo rilevato che il numero di coloro che accusavano una precocità dell’eiaculazione andava aumentando e stava raggiungendo la domanda, da sempre rilevante di chi lamentava un deficit dell’erezione. In quegli anni aumentavano sensibilmente anche i pazienti che si presentavano in coppia; inoltre si registrò una maggior presenza della popolazione femminile che tuttavia si è poi stabilizzata a livelli sempre molto bassi rispetto all’entità delle disfunzioni maschili non superando il 20% di queste ultime. Comparvero anche casi di uomini che lamentavano una anorgasmia pur avendo una normale risposta eiaculatoria e così ci si dovette confrontare con una forma inusitata di frigidità: la frigidità maschile.
La semeiotica del desiderio sessuale invece non mostrò mutamenti significativi, l’anafrodisia accompagnava facilmente i matrimoni bianchi e quelle impotenze di coppia determinate da una conflittualità che vedeva l’aggressore passivo dichiarare una progressiva caduta del desiderio. Ma nei successivi dieci anni e in particolare in questi nostri anni novanta, mentre rimangono sostanzialmente stabili l’incidenza dei diversi sintomi e l’abitudine di presentarsi in coppia, si registra un progressivo e significativo aumento di pazienti di entrambi i sessi che dichiarano una assenza di desiderio. Assenza che non è segno di depressione o risposta difensiva a fronte di un evento sessuale ansiogeno o una espressione della propria ostilità verso il/la partner, ma un vero e proprio vuoto, una sorta di malformazione congenita che trasforma in angeli asessuati.
Si tratta di una assenza che si evidenzia fin dall’adolescenza, ma che può presentarsi anche dopo le prime esperienze compiute più spesso per dare seguito a pressioni sociali o di gruppo. Quando il/la partner si prodiga in iniziative, i rapporti possono anche realizzarsi con normali risposte fisiologiche ed essere anche piacevoli, ma non vengono successivamente cercati e la indifferenza finisce per essere contagiosa trasferendosi al/la compagno/a.
Sembra che si stia verificando una sorta di evirazione mentale non collegata a dinamiche conflittuali o di malapprendimento che hanno compromesso lo sviluppo sessuale, ma determinata da un serio impoverimento della elaborazione simbolica che fornisce alla comunicazione e ai messaggi del vivere sociale il compito di trasformare il bisogno sessuale in desiderio.
Di sesso se ne parla assai più che un tempo e dal sesso sono manifestamente caratterizzati molti messaggi, ma il linguaggio sembra aver rinunciato ad evocare richiami erotizzanti. I movimenti naturisti di fin de siècle avevano già sostenuto l’importanza del corpo nudo per privarlo dei suoi minacciosi significati erotici e sappiamo come in determinate culture si viva nudi per vestirsi solo quando si celebrano i riti della fecondità definiti orgiastici dal pudico occhio dei primi osservatori europei.
Il corpo decorato, sapientemente velato. Il corpo che può essere intravisto, intuito e immaginato è stato (o possiamo dire è !) un messaggio erotico di indubbia efficacia. Ma allora, si tratta solo di recuperare il valore stimolante delle caviglie scoperte al minimo movimento di gonne straordinariamente lunghe? Oppure occorre inventare nuovo modo di far parlare la sessualità? Non sembra facile anche perché sembra esserci qualche ragione che trascende il singolo e le sue possibilità.
L’anestesia sessuale si accompagna ad un calo sempre maggiore della natalità, entrambi si pongono come il segno probabile di una cultura che da oltre un secolo ha scelto la contraccezione, una contraccezione non decisa dalle responsabili scelte individuali e di coppia, ma generalizzata, spontanea e legata agli automatismi del vivere sociale. Un espediente culturale che colpisce insieme il piacere e la natalità noncurante dei ragionevoli argomenti con i quali si è cercato di distinguere fra valori erotici e procreativi e interpersonali della sessualità nell’illusione forse che fosse sufficiente sostenere la possibilità dell’esistere degli uni senza gli altri per cambiare le cose.
Ma qualcosa va’ cambiando e non nella direzione voluta, escludiamo un nostalgico recupero delle campagne demografiche e insistiamo: occorre trovare un nuovo linguaggio.
Gennaio/Febbraio 1995 – Anno III – n° 1