09 - 06 - 1995

Ma come funzionano queste mutande virtuali

Il sistema è tarato per rispondere alle sollecitazioni dell’osservatore. Se l’osservatore per esempio mette le mani sulle spalle del partner virtuale e le abbassa, il partner virtuale si abbasserà fino a portarsi all’altezza dovuta. Analogamente se questo effettuerà il movimento di girarlo, il partner virtuale si girerà. Nella fase più propriamente genitale del rapporto esistono una serie di meccanismi automatizzati, tutti però consensuali ai movimenti dell’operatore. Si sarebbe potuto anche elaborare un sistema di comando tramite ordini verbali, ma sarebbe costato un’enorme espansione del software. Naturalmente anche il partner virtuale è muto…

Il dialogo fra l’esperto di brevetti Oscar Brown e l’inventore di un’attrezzatura interattiva (un indumento che si indossa come se fosse appunto un paio di mutande) capace di fornire le sensazioni visive e tattili che accompagnano il rapporto sessuale è tratto dal romanzo di Mark Bonafede (Le mutande virtuali – ed. Muzzio, Padova 1994) che l’editore presenta come psichiatra italoamericano e neo-scrittore. Si tratta forse di fantascienza, ma la realtà virtuale che ha cominciato ad interessare il mondo dell’informatica fin dal 1973, può già contare su realizzazioni diverse e sorprendenti (v. la rivista …….) per cui non passerà molto tempo che per le proprie disfunzioni invece che rivolgersi al sessuologo si dovrà ricorrere al tecnico programmatore.

In verità per il Dottor Mark il tempo che dovrà trascorrere non sembra determinato dalle abilità inventive degli esperti del settore, ma dalle scelte di mercato di chi detiene il potere economico. Facendo eco al discorso avviato da Reich sul binomio sesso-potere per il quale il piacere è concesso o negato dai gestori palesi od occulti dell’organizzazione sociale il romanzo infatti si colora di giallo per l’intervento di una fantomatica mega-azienda che perseguita i protagonisti fino ad impadronirsi dell’invenzione per archiviarla in attesa che le strategie di potere ne giustifichino la divulgazione.

Che il sesso sia oggetto di attenzione per chi si dedica all’invenzione più straordinaria degli ultimi cinquant’anni non è sorprendente: le prime pornofoto sono coeve alla invenzione della fotografia, altrettanto dicasi per i pornofilm. Non sorprende nemmeno che oggi come allora, sostenitori e detrattori dell’uso del sesso da parte delle nuove tecniche, si esprimano gli uni per celebrare le sempre più attraenti possibilità di fruizione del piacere, gli altri per far della morale su strumenti che snaturano il significato relazionale della sessualità.

Ciò su cui vorremmo portare l’attenzione è che anche le “mutande virtuali” si iscrivono nel contesto di quella civiltà tecnologica che, essendo impegnata ad inventare ogni cosa che possa evitare fatica, sembra poterci trasformare da attori a spettatori, da soggetti agenti a passivi fruitori di “servizi“. E fino a che si tratta di servizi che agevolano azioni pesanti e faticose possiamo risparmiare energie fisiche e psichiche per meglio orientarle altrove, ma quando i servizi forniti sono sensazioni, immagini, fantasie, emozioni, queste falsificano il sentire che, intrappolato da una percezione sempre più incapace a differenziare la realtà dalla simulazione, risente della stessa virtualità del messaggio.

Possiamo già assistere alla trasmissione “in diretta” di azioni violente senza riuscire a cogliere la reale concretezza dell’evento, adempiamo semplicemente alla funzione di spettatori pronti a fruire delle emozioni suscitate dal video per gli istanti che ci sono concessi dalla trasmissione senza distinguere fra la realtà e la simulazione dell’invenzione filmica.

La preoccupazione dunque non è tanto che il sesso virtuale si sostituisca al sesso reale trasformando l’occidente in una cultura della masturbazione dalle tecniche sofisticate, ma che l’agire si riduca al semplice controllo del telecomando dove l’unica abilità richiesta è quella di pigiar bottoni senza curarsi se il proprio sentire è reale o simulato.

Maggio/Giugno 1995 –Anno III- n° 3

In “Frammenti di Sesso” CIC, 2005