Da quando si è aperta la questione sessuale si è parallelamente sostenuta la necessità di una educazione specificamente dedicata alla sessualità. I dibattiti numerosi, le pubblicazioni e le esperienze diverse che dall’inizio del nostro secolo si sono succedute sia pure concentrandosi in momenti storici particolari, non hanno cessato di difendere e sostenere con orientamenti ideologici e pedagogici diversi, l’obbligo di un agire educativo che aprisse, in particolare con i giovani, il capitolo della generazione e del sesso. Si è pensato così fin dall’inizio di provvedere alle scarse conoscenze e all’imbarazzo degli insegnanti fornendoli di testi costruiti appositamente per consentire loro di apprendere le cose del sesso in maniera che potessero essere poi insegnate e organizzando corsi o seminari capaci di trasferire quel sapere che appare così difficile da acquisire.
Non nascondiamo che noi stessi abbiamo creduto opportuno intervenire condividendo la necessità di una educazione sessuale. Ma il dibattito che si è riaperto negli ultimi anni prendendo le mosse dalla gravità del diffondersi dell’AIDS (che sembra aver convinto anche i più reazionari), ci ha confermato alcuni dubbi emersi già durante l’esperienza degli anni ’60-’70, sulla validità ,di una nuova materia, l’educazione sessuale appunto, da trattare come insegnamento a se stante, alla stregua dei corsi teorici per il conseguimento della patente di guida.
Confinare l’insegnamento sessuale dentro appositi spazi educativi affidandolo ad insegnanti specificamente preparati soddisfa certo molti educatori che si vedono alleggeriti dall’obbligo di agire in un territorio così scabroso e contemporaneamente si sentono tranquilli perché convinti di aver risolto il problema. La sessualità è dimensione della persona e delle relazioni sociali, è presente nella cultura, nei costumi e nelle opere artistiche e d’ingegno, è parte del nostro quotidiano e della nostra storia e riservare ad essa un ghetto educativo risolve le ansie sessuofobiche degli adulti, mentre non offre certo agli allievi la possibilità di integrare la sessualità nel loro sapere e nella loro personalità. Vorremmo che gli educatori abbandonassero la preoccupazione di informarsi e/o fermarsi per assumere competenze ritenute estranee a quelli acquisite per attuare i propri compiti. Vorremmo che l’insegnante di lettere e di lingue e di qualsiasi altra disciplina, non si avventurasse negli studi che competono allo psicologo o al sessuologo per poter poi fare una educazione sessuale. Vorremmo invece che ciascun insegnante si dedicasse con impegno a recuperare quanto di sessuale compete alla propria materia, per rimediare alla mutilazione che per lunghi anni ha evirato la letteratura e la storia e le scienze e ogni altra materia.
Vorremmo in definitiva che l’educazione sessuale venisse catalogata tra le cose inutili e archiviata per dedicare energie e attenzione ad una educazione sessuata.
Settembre/Ottobre 1993 – Anno I – n° 3
In “Frammenti di Sesso” CIC, 2005