Intervista CIS alla Dott.ssa Alba Mirabile, psicoterapeuta e sessuologa clinica
Brevemente di cosa si occupa e qual è la sua specializzazione?
Sono una psicoterapeuta e sessuologa clinica e mi occupo attraverso la psicoterapia di accompagnare per un pezzo di strada della vita chiunque si rivolga a me per una sofferenza che riguarda sia la persona che la coppia. Da diversi anni, inoltre, m’interesso di promozione e tutela della salute e del benessere sessuale, ossia formo e informo sull’educazione sessuale. Con questo ambito esco da quello che è il mio ruolo più clinico e, di conseguenza, anche dalle regole del setting psicoterapico: incontro bambini e ragazzi dei diversi gradi scolastici, genitori, insegnanti, personale sanitario e grazie a questi momenti posso misurarmi e confrontarmi con dinamiche relazionali completamente diverse dal setting clinico che ritengo un’ottima opportunità di crescita personale proprio perché diversamente stimolanti.
Quali studi ha intrapreso per esercitare la sua professione?
Mi sono laureata a Padova in Psicologia con una tesi in sessuologia, materia che avevo approfondito casualmente con dei seminari durante il IV anno di università: nel vecchio ordinamento non era ancora presente come materia di insegnamento. In quel periodo stavo preparando l’esame di Psicopatologia Infantile, un esame che mi mise emotivamente in difficoltà. Diverso era frequentare i seminari di Sessuologia: nessun disagio, anzi sentivo di poter stare in quegli argomenti senza grandi conflitti interni. Fu proprio in quel semestre che capii cosa avrei potuto fare da grande.
Così, subito dopo la laurea e grazie al suggerimento del relatore della mia tesi, scelsi di formarmi in Sessuologia Clinica, proprio al CIS e sotto la guida del Prof. Rifelli iniziai a vedere i primi pazienti. Poco dopo continuai la mia formazione in Psicoterapia Dinamica a Breve Termine, presso il CISSPAT di Padova. Da lì in poi la nostra professione è una continua formazione.
Occuparsi dell’animo umano è affascinante e stimolante, ma nello stesso tempo anche complesso e prevede una grande responsabilità verso i nostri pazienti. Essere sempre aggiornati, preparati e in “equilibrio” con noi stessi la ritengo una conditio sine qua non per tutti coloro che operano per il benessere dell’altro.
Qual è la gratificazione maggiore del suo lavoro?
La psicoterapia è un percorso di crescita a doppio senso e, come affermava Winnicott, i nostri pazienti ci pagano per farci crescere, questo scambio è il preludio di una grande gratificazione. Ritengo esista un appagamento narcisistico che alcune volte facciamo difficoltà ad ammettere, nel prendersi cura dell’altro ed è sentirne la gratitudine. Cicerone riteneva la gratitudine la madre di tutte le virtù. Quando durante il percorso il paziente arrivare a sentirla è uno degli indici che del cambiamento che sta avvenendo. Sentirla e consapevolizzarla permette di essere empatici verso gli altri, di riconoscere il valore delle relazioni, permette una grande crescita. La soddisfazione per un terapeuta nel ricevere questo messaggio di gratitudine da parte del paziente indica la riuscita del lavoro terapeutico. Questo per me è davvero un intenso e appagante scambio emozionale.
Per lei quanto viene personalizzata la terapia?
La terapia dev’essere assolutamente personalizzata. Ognuno di noi è speciale e diverso, anche se presenta lo stesso sintomo. Il compito del terapeuta è quello di cucire, come farebbe un buon sarto, un abito su misura per ciascuno. Il terapeuta può possedere lo stesso tessuto, stesso ago, filo o macchina da cucire, ma è mettere insieme il tutto in maniera esclusiva per il singolo che rende la psicoterapia un trattamento clinico capace di trasformare la sofferenza psichica di una persona.
Cosa pensa dell’abbandono della terapia da parte del paziente? Perché accade?
Il drop out è il termine con cui nel gergo tecnico si indica l’abbandono improvviso, prematuro e non concordato della psicoterapia. È un argomento che riguarda tutti gli psicoterapeuti e non ha niente a che fare con l’esperienza e la bravura degli stessi, ma con aspetti che sia il paziente, che il terapeuta, mettono in atto durante il percorso. Alcune cause possono trovarsi in una scarsa motivazione, un timing emotivo sbagliato nel aver iniziato il percorso, nelle resistenze che si mettono in atto nell’affrontare un problema, la “relazione terapeutica” o altre volte possono riguardare qualcosa di più profondo.
Circa un anno fa mi è capitato di riprendere un percorso con un paziente che dopo alcuni mesi di terapia aveva interrotto i nostri incontri perché non si sentiva pronto ad affrontare il nucleo centrale che l’aveva portato alla richiesta d’aiuto. Questa interruzione durò diversi mesi; oggi ci vediamo settimanalmente senza saltare nessuno incontro: sta portando avanti e con non poche difficoltà il suo cambiamento. È proprio l’aver preso coscienza del motivo per cui aveva interrotto la terapia che lo motiva ogni giorno ad affrontare le sue paure.
Ammiro molto i miei pazienti, intraprendere un percorso di psicoterapia per certi aspetti prevede una bella dose di coraggio, significa scegliere di mettersi in discussione, prendere in mano, toccare e scavare nelle proprie paure e difficoltà. Significa combattere con le proprie resistenze, abbattere difese boicottanti, ma significa anche imparare ad essere onesti e amorevoli con se stessi, darsi un’opportunità di serenità. Lui era finalmente pronto a farlo.
Se diamo al drop out (abbandono della terapia) la giusta lettura da entrambi i sensi, se anche noi come terapeuti mettessimo in discussione le nostre interpretazioni e fossimo pronti ad accettare di rivedere con altri quello che è accaduto e che ha portato all’abbandono della terapia, con una supervisione ad esempio, il drop out potrebbe diventare un importante momento di crescita anche per noi. Questo non toglie meriti al terapeuta, semplicemente non lo rende la persona giusta per quello specifico paziente.
In fondo la psicoterapia funziona quando avviene l’incontro tra i due.