di Giuliana Proietti
GP: Cosa è significato per te, come bambina e come adolescente, avere per papà un famoso e stimato sessuologo, come il Prof. Giorgio Rifelli?
GR: Una domanda da un milione di dollari! Ho avuto la fortuna che, nonostante l’importanza acquisita nella sua professione, è sempre rimasto prima di tutto un papà; la mia memoria di bambina va ai tanti momenti di gioco, ai suoi insegnamenti che prescindevano l’essere sessuologo e, soprattutto, al suo essere sempre presente. Da adolescente ho cominciato a percepire anche il suo aspetto professionale: il suo essere stimato dai colleghi e dagli allievi mi rendeva fiera e mi permetteva di essere riconosciuta come “figlia di Rifelli” facendomi sentire ancora più unica; tuttora, mi riempie di orgoglio.
GP: Hai mai pensato che da grande avresti fatto un altro mestiere, anziché la sessuologa?
GR: In realtà, proprio “sessuologa”, non lo pensavo. A undici anni ho decretato che sarei diventata psicologa dell’età evolutiva, con il senno di poi penso fosse per trovare un ambito in parte diverso da quello di mio padre. Una volta percorsa la mia strada più differenziata, ho potuto integrare tutto quello che potevo apprendere dall’avere come padre Giorgio Rifelli e il passo verso la sessuologia è stato a quel punto naturale e soprattutto più consapevole.
GP: Come vivi il ruolo di Segretario Generale del CIS?
GR: Lo sento come una grande responsabilità: questo ruolo è stato di mio padre per anni e nei miei progetti non c’era certo l’idea di ricoprirlo così improvvisamente. Il CIS costituisce un’importante realtà nel mondo della sessuologia, riconosciuta per la propria tradizione di serietà, quindi non è facile raccogliere questa eredità. È la sfida per me e tutti i componenti del Consiglio Direttivo e i Soci CIS: vogliamo proseguire apportando le nostre energie e competenze.
GP: Quali sono le iniziative attualmente in cantiere per le attività del CIS?
GR: Tantissime. Elencando quelle più importanti vi sono: accrescere la presenza sui nuovi media per offrire un servizio più efficace ai Soci e favorirne la partecipazione; allargare e rafforzare la nostra presenza nazionale e quindi i servizi offerti sul territorio; creare sinergie con il mondo medico cogliendo l’occasione del Congresso Nazionale del 2017; avviare nuovi corsi specialistici come il “Master in Criminologia e Psicopatologia della Sessualità” e il “corso di Educazione Sessuale”; aumentare i seminari e gli aggiornamenti dedicati ai Soci.
GP: A chi consiglieresti in particolare di intraprendere la carriera di sessuologo clinico o di consulente in sessuologia?
GR: Ritengo che la caratteristica fondamentale per fare questa professione sia quella di essere disponibili a mettersi in discussione e essere il più possibile consapevoli di noi stessi. La sessualità è parte fondante la nostra identità, da questo non possiamo prescindere, diventa oggetto di studio ma è anche parte di noi, per questo non è un lavoro semplice ma intriso di possibili confusioni emotive che, se non consapevoli, possono solo creare danno.
GP: Cosa occorrerebbe cambiare o migliorare in Italia per favorire la visibilità della nostra professione?
GR: Non penso che il problema sia la visibilità, ma di trasmettere la serietà ed importanza della professione di sessuologo, facilmente dequalificabile per via dell’oggetto stesso di studio. Il lavoro che sta facendo la FISS per ottenere il riconoscimento della professione va in questa direzione. Ma non è di facile attuazione. La sessuologia è una disciplina trasversale che attinge a vari ambiti: psicologico, medico, sociologico, filosofico, etico e così via; anche per questo la definizione della professione di “sessuologo” è complessa, sia per noi professionisti, sia giuridicamente. La sessuologia è disciplina giovane e, come nel lavoro clinico, per crescere ci vuole tempo e pazienza.