“L’insegnamento universitario della sessuologia non dovrebbe costituire una materia di esame obbligatoria. Invece la frequenza dovrebbe essere imposta agli studenti di medicina, di scienze naturali e di giurisprudenza…” così scriveva già nel 1922 lo storico della Scienza Aldo Mieli, direttore della Rassegna di Studi Sessuali (Anno1°, fasc.2 p.82) in un articolo nel quale evidenziava come alla riconosciuta importanza degli studi sessuologici si accompagnava la loro esclusione dagli insegnamenti ufficiali. Con il trascorrere degli anni le cose non sono cambiate di molto per ciò che riguarda l’esclusione e l’insegnamento universitario rimane carente nonostante qualche corso di perfezionamento e di insegnamento (Firenze, Parma, Bologna,
“L’insegnamento universitario della sessuologia non dovrebbe costituire una materia di esame obbligatoria. Invece la frequenza dovrebbe essere imposta agli studenti di medicina, di scienze naturali e di giurisprudenza…” così scriveva già nel 1922 lo storico della Scienza Aldo Mieli, direttore della Rassegna di Studi Sessuali (Anno1°, fasc.2 p.82) in un articolo nel quale evidenziava come alla riconosciuta importanza degli studi sessuologici si accompagnava la loro esclusione dagli insegnamenti ufficiali. Con il trascorrere degli anni le cose non sono cambiate di molto per ciò che riguarda l’esclusione e l’insegnamento universitario rimane carente nonostante qualche corso di perfezionamento e di insegnamento (Firenze, Parma, Bologna, Bari ecc.) a cui si associano i corsi post-universitari di sessuologia clinica e pedagogica di cui anche il nostro Centro si è fatto promotore.
Per contro l’importanza degli studi sessuologici è andata sempre più aumentando esponendosi tuttavia a soluzioni aberranti anche per l’abitudine dilagante di affidare al tecnico la comprensione e la gestione dell’esistere in tutte le sue manifestazioni. La malriposta e incondizionata fiducia nel sapere cosiddetto scientifico ha determinato nel campo medico e psicologico una ipertrofia del potere degli specialisti della salute che cedono facilmente alla tentazione di trasformarsi in nuovi sacerdoti depositari del vero. Favoriti dalle facili ricette divulgate dagli innumerevoli manuali e riviste e articoli sull’arte del vivere bene, i “sessuologi” rischiano di porsi come i professionisti dell’orgasmo o, se si vuole, della salute sessuale.
Sono loro i custodi di quelle verità “scientificamente” rivelate che consentono di accedere alla felicità sessuale e sono loro che si devono oggi guardare dalla concorrenza di altri sacerdoti o sacerdotesse dell’amore ribattezzati appunto “sessuologi”. La fotomodella, massaggiatrice e pornodiva Muriel Dagmar si dedica anche alla prostituzione, ma non ha clienti, bensì pazienti, viene definita psicoprostituta (Panorama 2/12/94) e il racconto delle sue esperienze assume tutta la dignità di un resoconto clinicoterapeutico. Il suo libro (Professeur d’amour) viene proposto come opera di una sessuologa che lavora in maniera singolare e lei stessa sostiene che “bisognerebbe formare tutte le prostitute alla psicoterapia”.
Non ci dobbiamo nascondere che nelle fantasie infantili e onnipotenti del professionista sessuologo sia presente l’immagine di un abile distributore di orgasmi, e che esse siano complementari alle attese immaginarie di chi soffrendo si rivolge a lui, ma colludere con esse favorendo l’idea che il sessuologo è l’unico tecnico capace di affrontare i problemi del sesso significa non corrispondere ai bisogni che nascono dal mantenimento, dal recupero e dalla promozione della salute sessuale.
Per chi come noi è responsabile di una Scuola di Sessuologia tale situazione richiede l’individuazione di percorsi formativi che se da un lato dimensionano l’onnipotenza fantasticata dall’altro ridistribuiscono la responsabilità della salute sessuale riconoscendo l’importanza e la necessità di coinvolgere in un impegno comune medici, psicologi ed educatori. In sede pedagogica abbiamo già illustrato (SessuologiaNews 3/93) il significato di una educazione sessuata che possa superare i limiti specialistici della educazione sessuale recuperando ed evidenziando nei diversi interventi educativi quanto compete alla dimensione sessuale. In sede clinica dobbiamo poter fare altrettanto in maniera che medici, psicologi, ginecologi, pediatri, psichiatri, ostetriche, ecc. acquisiscano l’abilità di comprendere nel loro operare anche quegli aspetti della situazione clinica con a quale si confrontano che riguardano la vita sessuale. Così il cardiologo non dovrebbe ricorrere al sessuologo nella riabilitazione dell’infartuato, né lo psicologo dovrebbe aver bisogno dello specialista per completare il suo colloquio psicodiagnostico con i temi di una anamnesi sessuologica.
Abbiamo sì bisogno di sessuologi e terapeuti del sesso, ma soprattutto abbiamo bisogno di operatori capaci di una consulenza che sia anche sessuale, capaci di ascoltare dei loro pazienti storie che siano sessuate come sessuato è il loro svolgersi esistenziale, capaci infine di rispondere agli interrogativi di natura sessuale che facilmente si accompagnano a disagi o malattie non sessuali. Insomma sessuologi sì, ma non tutti sessuologi.
Bari ecc.) a cui si associano i corsi post-universitari di sessuologia clinica e pedagogica di cui anche il nostro Centro si è fatto promotore.
Per contro l’importanza degli studi sessuologici è andata sempre più aumentando esponendosi tuttavia a soluzioni aberranti anche per l’abitudine dilagante di affidare al tecnico la comprensione e la gestione dell’esistere in tutte le sue manifestazioni. La malriposta e incondizionata fiducia nel sapere cosiddetto scientifico ha determinato nel campo medico e psicologico una ipertrofia del potere degli specialisti della salute che cedono facilmente alla tentazione di trasformarsi in nuovi sacerdoti depositari del vero. Favoriti dalle facili ricette divulgate dagli innumerevoli manuali e riviste e articoli sull’arte del vivere bene, i “sessuologi” rischiano di porsi come i professionisti dell’orgasmo o, se si vuole, della salute sessuale.
Sono loro i custodi di quelle verità “scientificamente” rivelate che consentono di accedere alla felicità sessuale e sono loro che si devono oggi guardare dalla concorrenza di altri sacerdoti o sacerdotesse dell’amore ribattezzati appunto “sessuologi”. La fotomodella, massaggiatrice e pornodiva Muriel Dagmar si dedica anche alla prostituzione, ma non ha clienti, bensì pazienti, viene definita psicoprostituta (Panorama 2/12/94) e il racconto delle sue esperienze assume tutta la dignità di un resoconto clinicoterapeutico. Il suo libro (Professeur d’amour) viene proposto come opera di una sessuologa che lavora in maniera singolare e lei stessa sostiene che “bisognerebbe formare tutte le prostitute alla psicoterapia”.
Non ci dobbiamo nascondere che nelle fantasie infantili e onnipotenti del professionista sessuologo sia presente l’immagine di un abile distributore di orgasmi, e che esse siano complementari alle attese immaginarie di chi soffrendo si rivolge a lui, ma colludere con esse favorendo l’idea che il sessuologo è l’unico tecnico capace di affrontare i problemi del sesso significa non corrispondere ai bisogni che nascono dal mantenimento, dal recupero e dalla promozione della salute sessuale.
Per chi come noi è responsabile di una Scuola di Sessuologia tale situazione richiede l’individuazione di percorsi formativi che se da un lato dimensionano l’onnipotenza fantasticata dall’altro ridistribuiscono la responsabilità della salute sessuale riconoscendo l’importanza e la necessità di coinvolgere in un impegno comune medici, psicologi ed educatori. In sede pedagogica abbiamo già illustrato (SessuologiaNews 3/93) il significato di una educazione sessuata che possa superare i limiti specialistici della educazione sessuale recuperando ed evidenziando nei diversi interventi educativi quanto compete alla dimensione sessuale. In sede clinica dobbiamo poter fare altrettanto in maniera che medici, psicologi, ginecologi, pediatri, psichiatri, ostetriche, ecc. acquisiscano l’abilità di comprendere nel loro operare anche quegli aspetti della situazione clinica con a quale si confrontano che riguardano la vita sessuale. Così il cardiologo non dovrebbe ricorrere al sessuologo nella riabilitazione dell’infartuato, né lo psicologo dovrebbe aver bisogno dello specialista per completare il suo colloquio psicodiagnostico con i temi di una anamnesi sessuologica.
Abbiamo sì bisogno di sessuologi e terapeuti del sesso, ma soprattutto abbiamo bisogno di operatori capaci di una consulenza che sia anche sessuale, capaci di ascoltare dei loro pazienti storie che siano sessuate come sessuato è il loro svolgersi esistenziale, capaci infine di rispondere agli interrogativi di natura sessuale che facilmente si accompagnano a disagi o malattie non sessuali. Insomma sessuologi sì, ma non tutti sessuologi.
Novembre/Dicembre 1994 –Anno II – n° 5