Giuliana Proietti* Ancona, Psicologa, Psicoterapeuta e Sessuologa Clinica. Membro del CIS e della FISS.
Giada Mondini** Bologna, Psicologa, Psicoterapeuta, Sessuologa Clinica.
Giuliana Proietti* intervista Giada Mondini**
LE PERVERSIONI: IL PARERE DELL’ESPERTO.
1. Cosa ci permette di distinguere un comportamento deviante da uno trasgressivo?
1. Se per trasgressione si intende un movimento critico nei confronti di pesanti normative conservatrici; se per trasgressione si intende disubbidienza a leggi ritenute infine superate ed ingiuste, allora la risposta è facile: il trasgressore degno del nome, è socialmente attivo e coltiva la passione politica, gruppale con modalità innovative e progressiste, senza annullare sé stesso o l’altro. All’opposto il comportamento deviante che caratterizza la perversità, non è in grado di tener conto dell’alterità, scambiata per “alienazione”, e bada esclusivamente al proprio tornaconto. Tipicamente il perverso, in ambito sessuale e non soltanto, è una persona incapace di attingere alle “gioie” del consenso e della condivisione. Il comportamento deviante non agisce “con”, bensì, “sopra”, dal che consegue quasi fatalmente, un agire “contro”. L’esempio più tragico della perversità, è su tutti i giornali del nostro tempo: il femminicida o candidato tale, persuaso di agire per amore, che può persino pensare di sé stesso, di essere anticonformista e trasgressore. Fortunatamente non tutte le perversioni arrivano all’assassinio. L’elemento specifico rimane comunque un atto di sopraffazione, che tende oggettivamente alla mortificazione dell’interlocutore o dell’interlocutrice per il tramite del disconoscimento della parità, tra esseri umani. Sappiamo che la violenza colpevolizza, sporca, tocca … Abbatte l’identità e l’anima.
2. E’ stato giusto abbandonare la vecchia dizione “perversioni” in favore di quella attualmente in uso, “parafilie”?
2. Il problema di come chiamare le cose è importante. Non saprei dire se sia stato giusto o meno; mi viene da dire che sia senz’altro più facile parlare di “parafilia” che non di “perversione”. Il termine “parafilia” è figlio della nostra società, che predilige il linguaggio tecnico a discapito del linguaggio evocativo, come suggeriva la parola “perversione”. Esattamente ciò è accaduto con il termine Malattie a Trasmissione Sessuale (MTS), oggi preferito alla dicitura utilizzata fino a poco tempo fa, che richiamava alla memoria la Dea Venere, riferendosi alle pene dell’amore: le “Malattie Veneree”. La cultura medica attuale pensa di fare un passo avanti, tutte le volte che conquista chiarezza e oggettività, sottraendo ai territori dell’ambiguità e della confusione. Ma ci sono dei territori, che inevitabilmente suscitano tali sentimenti. Esattamente ciò che il termine “perversione” evoca, e non solo … In questo senso, intendo dire che è più facile utilizzare la parola “parafilia”: ci protegge almeno in parte, dal fare i conti con quei pensieri, fantasie, emozioni che invece più facilmente emergono dentro di noi, volente o nolente, utilizzando la parola “perversione”. Penso che le parole mediche e cliniche, non dovrebbero essere lontane dal senso comune, rendendo il dialogo con i pazienti, semplicemente più umano e popolare, anche quando le cose si fanno più complesse, come nel territorio delle perversioni. Io sono figlia della scuola del Prof. Giorgio Rifelli e lo dico con orgoglio e con quella “gioia”, di cui parlavo sopra. Per tali ragioni, preferisco il linguaggio evocativo al linguaggio tecnico e trovo rischioso abbandonare un termine così ricco di significati, anche se a volte inquietanti, per uno, così neutro e aristocratico.
3. Nel DSM-5 non è stata inserita la dipendenza sessuale. È un male o un bene?
3. Rifletterei più sulle ragioni per le quali non sia stata inserita la Dipendenza Sessuale all’interno del DSM, piuttosto che sulla questione del giusto o dello sbagliato. Tenendo conto dell’incidenza di questa problematica e delle 500 voci diagnostiche di cui conta la nuova edizione del DSM, senz’altro questa omissione, non deve essere trascurata. Riguardo alle ragioni più di superficie, non ci sono sufficienti studi empirici da giustificare la sua presenza nel DSM-5. Persistono ad oggi delle difficoltà a più livelli fenomenologici: nella denominazione, definizione e classificazione di questo disturbo. Riguardo invece alle ragioni più profonde, al momento lascio aperta una riflessione ai lettori e ai clinici.