03 - 03 - 2020

Una tecnica di lettura di Stefania De Persio* 

L’abuso sessuale è una delle tante forme di violenza inflitte all’infanzia. È un fenomeno di vergogna sociale che molto spesso induce al silenzio, all’omertà; è un fatto sensazionale, e nello stesso tempo aberrante, che produce impotenza e tolleranza (riprovevole) sia nel mondo esterno, che nel mondo interno le mura domestiche.

Sul piano della crescita del bambino l’abuso sessuale è un evento che destabilizza profondamente le sue funzioni psicologiche e di adattamento, con importanti ricadute sull’organizzazione del sé, sulla regolamentazione degli affetti, sullo sviluppo degli schemi di attaccamento e dell’autostima, sulle relazioni con i coetanei e con gli adulti. Visto dall’ambiente esterno, invece, un caso di abuso sessuale su un bambino implica altre complesse questioni; prima fra tutte la compromissione dell’immagine funzionale della famiglia, della scuola e della comunità di appartenenza, subito dopo, e non meno importante, il carico emotivo dei singoli soggetti che di fronte al solo sospetto di abuso sessuale debbono attivarsi, perché ne vale la propria coscienza e la propria responsabilità di genitore, insegnante, medico, maestro o altro. Viceversa, vi è la scelta di fuggire da alcuni evidenti segnali che il bambino abusato sta dando e l’ovvia conseguenza di non doverne sopportare il carico.

Un modello di studio della testimonianza dell’abuso sessuale sul minore nasce dall’ipotesi dello psichiatra tedesco Udo Undeutsch a metà degli anni ’60. Nella sua “valutazione della credibilità delle dichiarazioni” (Hundbuch der psychologie, 1967) egli sosteneva che i bambini non dicono le bugie, ovvero, che c’è una grande differenza tra il racconto di cose da loro realmente vissute e il racconto di cose da loro inventate o ricopiate.

A partire da questa ipotesi Undeutsch individuava una serie di criteri base di valutazione del racconto dell’abuso sessuale del bambino elaborandone un metodo, il CBCA (Criteria Based Content Analysis). Il lavoro, ripreso da numerosi altri autori europei (cfr. Steller & Boychuck 1992, Vrij Universiteit 2000), è stato sviluppato ulteriormente come tecnica di analisi e di validazione del racconto del bambino presunta vittima di abuso sessuale in ambito forense ed è conosciuto con l’acronimo SVA – Statement Validity Assessment. La SVA è un lavoro molto metodico di analisi tecnico-psicologica su tutti i possibili dettagli del racconto del bambino e delle connessioni dello stesso racconto con gli altri fatti e atti di causa. Si realizza attraverso tre passaggi fondamentali: l’intervista strutturata, il CBCA e la Validity Checklist.

Essa si traduce letteralmente in una valutazione e validazione della testimonianza del bambino che, analizzata in tutti i suoi aspetti, permette all’esperto tecnico-psicologo di sostenere la credibilità del racconto. Sugli atti e i fatti di causa che si evidenziano con la SVA, e soprattutto, sul fatto che il bambino dica o meno la verità, dovrà essere il giudice ad esprimersi.

È una tecnica di analisi studiata nello specifico caso di abuso sessuale proprio per rispondere alle esigenze di giustizia, cui necessitano, sia la valutazione della competenza del bambino a prestare testimonianza, sia la validazione della credibilità del suo racconto. L’aspetto più difficile da snodare e più facile da contestare è la testimonianza dell’accusa in quanto minorenne, a volte riguardante il bambino/bambina dai quattro agli otto anni. Tutt’oggi la SVA risulta il più efficace strumento da poter utilizzare in ambito forense italiano e internazionale, ampiamente condivisa da esperti in materia di abuso sessuale (S. Ghetti e F. Agnoli 1998, M. Malacrea e S. Lorenzini 2002, et al.).


*Sociologa Consulente Sessuologa CIS, Delegata per l’Umbria