07 - 08 - 2022

Dott.ssa Antonella Besa
Psicologa, Psicoterapeuta

MATRIMONI A TEMPO
 

Cosa rappresenta meglio la caratteristica dei tempi moderni? La fluidità. Quello che è vero oggi, domani non lo è più, tutto viene costantemente aggiornato e rivisto (il telefono, la storia, i valori), le categorie si mescolano e si dissolvono. Perfino il DSM e le encicliche papali nell’arco di pochi decenni rivedono e mutano i loro enunciati. Le cose durevoli sono ormai fuori moda. Eppure c’è un istituzione sociale che vorrebbe sopravvivere “vita natural durante”, ma si infrange contro lo spirito dei tempi: il matrimonio. Questa discrepanza fra aspettative e realtà provoca una serie di complicanze legali e psicologiche che si concretizzano nei percorsi di separazione, iter che viene vissuto spesso con un esborso di denaro e un senso di rabbia e fallimento. Prendendo atto della situazione attuale (un matrimonio su due finisce in separazione), non sarebbe più sensato istituire il matrimonio a tempo determinato?
 

Incredibile a dirsi, questa istituzione esiste davvero: la troviamo nel contesto islamico sciita e si chiama mut’a ovvero matrimonio temporaneo, ed è regolato dal codice civile iraniano. L’essenza di questa particolare forma matrimoniale è che si tratta di un contratto con una data di scadenza decisa dai coniugi. Storicamente il mut’a era un modo per far sì che un uomo avesse compagnia femminile quando viaggiava per lunghe distanze; ora invece il mut’a porta delle vere novità soprattutto per la donna, perché può godere di diritti che attraverso il matrimonio islamico tradizionale non sono concessi.

Nel nostro contesto culturale, dove i diritti di uomini e donne sono equiparati, a che cosa potrebbe servire un matrimonio a tempo determinato? Come cambierebbe la vita di coppia se i matrimoni fossero 4+4 (tacitamente rinnovabili), come i contratti d’affitto?
 

Secondo quanto mi capita di osservare nel lavoro quotidiano con le coppie, uno degli elementi che al giorno d’oggi fa fallire i matrimoni è la trappola dell’amore romantico: quando ci innamoriamo di qualcuno sentiamo che “siamo speciali”, che siamo due corpi e un’anima, che “No, a noi non succederà mai di divorziare”. “Purtroppo” – dico purtroppo, perché, sì, è bellissimo essere innamorati” – l’innamoramento in realtà sembra un escamotage che ha inventato Madre Natura per garantire la sopravvivenza della specie. Mai come nel periodo dell’innamoramento vorremmo sposarci ed avere un figlio dalla persona di cui ci siamo innamorati per creare un legame visibile e indissolubile, e infatti è anche l’unico periodo in cui siamo “naturalmente” fedeli.
 

In molte storie di coppia, dal momento in cui ci si innamora a quando ci si sposa passano dai tre ai cinque anni, poi si mettono al mondo uno o due figli e dopo una decina d’anni dal matrimonio ci si accorge che portare avanti un rapporto di coppia è difficile, richiede impegno, molte volte sacrificio, e sembra che le soddisfazioni siano poche. I coniugi sentono che le limitazioni alla libertà personale diventano molte, si resta insieme per far crescere i figli, si fa meno sesso (e si trova l’amante) e un po’ alla volta ci si allontana dall’ideale amore romantico o erotico che ognuno aveva in mente. I coniugi dedicano meno tempo ed energie al rapporto di coppia, diventano più bravi ad organizzare il quotidiano che una serata a due, si parla poco, ci si indispettisce facilmente, sembra che l’altro non sia più capace di capire e di soddisfare il partner. Il rapporto di coppia si inaridisce e, se non viene annaffiato con costanza, muore. Nel migliore dei casi si diventa dei buoni amici conviventi, nel peggiore dei casi nemici in guerriglia quotidiana su tutto. Ciò che prende il sopravvento è la noia, la prevedibilità, l’indifferenza e/o il rancore.
 

Il “per sempre” spesso fa da tomba al naturale evolvere della relazione di coppia, perché dal giorno del matrimonio, psicologicamente è come se mettessimo un punto di non ritorno, come se la relazione nella nostra testa avesse raggiunto il suo apice e da quel momento non avesse più bisogno di essere nutrita perché ormai “siamo sposati”.

Immaginiamo per un attimo un mondo parallelo in cui esiste il matrimonio a tempo determinato: le coppie si sposano e firmano un contratto che dura cinque anni. Lo stare assieme, a questo punto non è dato per scontato, ma allo scadere del quinquennio si deve decidere se continuare il matrimonio o meno. Se entrambi o uno dei due non volesse più stare assieme, si andrebbe verso una separazione, anzi un esaurimento del contratto senza dover ricorrere a giudici e avvocati (e con gran risparmio economico); semplicemente ci si lascerebbe, senza il senso di fallimento che permea oggi le separazioni, perché diventerebbe un’alternativa naturale. L’opzione a tempo introdurrebbe nella coscienza delle persone che la prosecuzione del matrimonio dipende da loro: dalla loro capacità di integrazione tra elementi di novità e stabilità, dal loro impegno costante nel tempo e da quanto riescono a mantenere vivo il legame d’amore.
 

Il matrimonio a tempo determinato potrebbe indurre nella vita dei partner l’idea che bisogna aver cura dell’amore, che per fare andare avanti la relazione bisogna impegnarsi in due. Perché, se per sposarsi è necessario essere d’accordo in due, per separarsi basta la volontà di uno.
 
 
Bibliografia
 
Maurizio Andolfi (1999), La crisi della coppia. Una prospettiva sistemico-relazionale, Cortina Raffaello editore, Milano
Todesco Lorenzo (2009), Matrimoni a tempo determinato, Carocci, Roma
Susan Gadoua, Vicki Larson (2014), The New I Do: Reshaping Marriage for Skeptics, Realists, and Rebels, Seal Press (USA)