ANNA PASOLLI
dottoressa in Psicologia di Comunità, della Promozione del benessere e del Cambiamento Sociale
IL CONSENSO, OLTRE AGLI SLOGAN
Il tema del consenso è stato al centro di molti dibattiti sia nella politica, sia nello spettacolo. Movimenti come quello del #metoo, il cui scopo è il portare alla luce varie forme di abuso, hanno permesso di ampliare il discorso sul consenso e di rendere questo concetto saliente per la popolazione.
Nonostante l’ovvia positività di questi movimenti, va ricordato come riassumere temi così complessi all’interno di slogan possa portare vantaggi in termini di raggiungimento della popolazione, ma anche causare una semplificazione e un fraintendimento del concetto. Riconoscere questi limiti è necessario per migliorare le campagne di sensibilizzazione, per comunicare informazioni corrette e per riconoscere la giusta complessità a un meccanismo tutt’altro che semplice.
Agli albori del discorso sul consenso, lo slogan in voga era “no vuol dire no”; pur essendo una narrativa efficace per chiarire come in ogni momento si possa rifiutare una qualsiasi attività sessuale, lo slogan è stato di recente rifiutato, soprattutto negli ambienti femministi. Ciò è dovuto al fatto che questa narrativa, storicamente rivolta alle donne, tende a porle nel ruolo di passive accettatrici di avances e pone su di loro, nel caso di molestie e violenze, l’onere di dimostrare di aver negato a sufficienza e attivamente il loro consenso (Gilbert, 2017). Inoltre, questo messaggio rischia di elicitare negli uomini, che sono nell’ottica dello slogan coloro che chiedono un rapporto sessuale, ulteriore insistenza (Fenner, 2017). Quest’ultima può derivare dagli stereotipi di genere così come dal “mito dello stupro”, che racchiude la credenza secondo la quale un “no” di una donna corrisponda in realtà a un segreto desiderio di avere un rapporto e possa essere, con insistenza, trasformato in un sì più o meno “rubato”.
Perciò, lo slogan è stato trasformato secondo una prospettiva più affermativa, diventando “sì vuol dire sì”. Si è così cercato di restituire il diritto al desiderio e alla sessualità delle donne, ponendo l’accento sull’importanza della comunicazione tra partner. Tuttavia, la letteratura ha riportato come anche questo slogan non sia esente da potenziali criticità, che in questo caso derivano principalmente dalla sua “pubblicizzazione”. Nelle scuole viene spesso presentato meccanicamente, esclusivamente come accordo verbale durante il quale entrambi i partner devono richiedere e ricevere un chiaro “sì” affinché il rapporto sessuale prosegua. Questo errore è possibile per via della “miscommunication hypothesis”, ossia una teoria secondo la quale i fraintendimenti tra partner sono frutto di una comunicazione verbale ambigua, portando quindi come conseguenza logica all’insegnamento di un linguaggio verbale chiaro. Tuttavia, la ricerca non sostiene questa posizione; come riportato da Fenner (2017), infatti, il consenso è negoziato e comunicato principalmente in maniera non-verbale e soprattutto per i ragazzi, può risultare imbarazzante comunicare il consenso in maniera verbale. L’insegnamento proposto in questo caso risulta quindi distante dalla realtà vissuta dalle persone, e per questo rischia di essere poco efficace.
Per concludere, sono necessarie alcune riflessioni finali. Innanzitutto, va tenuto presente come non tutti i “sì” sottintendano lo stesso desiderio, alcuni sono più “concessi” che “voluti”; il desiderio e il consenso sono concetti differenti e non sempre si manifestano contemporaneamente. Le pressioni culturali a priori di questo meccanismo sono molte, tra le quali la credenza che acconsentire ai rapporti sessuali sia la maniera corretta per mantenere una relazione o che accontentare gli uomini sia il fine ultimo delle donne. Non si può quindi presumere che le donne prendano decisioni riguardo alla loro sessualità senza subire alcuna influenza dal contesto e dalla cultura in cui sono inserite (Fenner, 2017). Infine, è necessario riconoscere come la sessualità presenti un’importante componente di “sorpresa” e “incertezza”, le quali la rendono un’esperienza fluida e in continua trasformazione all’interno della quale il consenso non può essere teorizzato come un concetto immobile, bensì esso risulta essere soggetto ai continui cambiamenti dei desideri delle persone coinvolte nell’esperienza sessuale e dal modo in cui negoziano quando, come e se mettere in atto determinate pratiche (Gilbert, 2017).
Riconoscere e integrare questi limiti risulta quindi necessario e auspicabile per poter migliorare la narrazione riguardo al consenso e assicurarsi che la popolazione sia in grado di comprenderlo e negoziarlo in maniera corretta.
BIBLIOGRAFIA
Fenner, L. (2017). Sexual Consent as a Scientific Subject: A Literature Review. American Journal of Sexuality Education, 12(4), 451–471.
Gilbert, J. (2017). Contesting consent in sex education. Sex Education, 18(3), 268–279.