Dott.ssa Fabiola Balestrieri
Sociologa e criminologa, Esperta in Criminologia, analisi investigativa e psicopatologia del comportamento sessuale,
Redattrice per Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio
PEDOFILIA FEMMINILE
La maggioranza degli autori di reati sessuali su minore è di genere maschile e, per questa ragione, la ricerca si è concentrata su di loro, ma la rarità di casi in cui le donne sono autrici di violenza sessuale su minore non giustifica la volontà di non investigare su questi episodi. Una revisione della letteratura sui reati sessuali commessi contro i bambini mostra che sono state condotte relativamente poche ricerche sulle donne che commettono reati sessuali. È piuttosto diffusa la credenza culturale in base a cui una donna non sia capace di abusare sessualmente di un bambino proprio per una sua tendenza innata (idea socialmente costruita e coadiuvata da un sistema paternalistico) alla cura del bambino come madre, quindi a causa di questa distorsione percettiva non possiamo assumere come reale il dato fornitoci dalla letteratura. Un’altra spiegazione è che le donne autrici di reati sessuali sono raramente registrate nelle statistiche ufficiali e sono quindi difficili da raggiungere per clinici e ricercatori.
Quali sono stati i primi passi verso la scoperta delle sexual offender donne?
Già negli anni 80 in Canada la Commissione Badgley scoprì che l’1% dei 727 colpevoli di reati sessuali di genere maschile nel corso dell’intervista ha rivelato di aver subito abusi sessuali da parte di una donna nel corso della loro fanciullezza. In una conferenza tenuta a Toronto nel 1991 Mathews, psicologo di comunità, evidenziò che se circa il 10% dei pedofili sono di genere femminile e in Canada 5 milioni di persone sono state abusate da bambini, quel 10% riguarderebbe circa 500 mila persone, quindi un numero da non sottovalutare. Egli stesso già affermava che la visione di child molestor femminili e di bambini di genere maschile abusati, rischiava di attuare un cambiamento degli stereotipi culturali contemporanei in quanto le donne erano associate alle figure di madri, nutrici, soggetti deboli, innocenti, ed erano – e per molti versi continuano ad essere – anche coloro anatomicamente predisposte a subire l’abuso e non a metterlo in atto.
A conferma di una visione stereotipata del genere femminile c’è l’esperimento di Broussard et al. del 1991 in cui venne riscontrato che i partecipanti tendevano a considerare l’interazione di un giovane maschio con una pedofila come meno rappresentativa dell’abuso sessuale su minori, inoltre le vittime maschili avrebbero subito meno danni rispetto alle vittime di altre situazioni interazionali. Ciò perché l’opinione pubblica è guidata da luoghi comuni quali: le donne non stuprano, le donne abusano i minori solo se costrette dal partner e quando lo fanno sono gentili ed amorevoli, le donne abusano solo di maschi, se sei una donna abusata da bambina da parte di un’altra donna allora sicuramente sei lesbica, gli uomini che affermano di essere abusati da una donna stanno fantasticando o mentendo.
Successivamente, Longdon nel 1993 affermò che “più a lungo continua la negazione, più a lungo stiamo potenzialmente mettendo a rischio i nostri figli. Non esiste un profilo di donna che abbia maggiori probabilità di abusare sessualmente. I sopravvissuti hanno subito abusi da suore, madri, zie, insegnanti, assistenti sociali, baby sitter e insegnanti della scuola materna.” Maggiormente da parenti stretti, madri, e ciò potrebbe essere dovuto a opportunità e accessibilità.
Tuttavia le ricerche si concentrano sull’eziologia e sulle motivazioni che sottendono all’abuso sessuale di minori da parte di donne. Infatti Turner e Turner nel 1994 studiarono un gruppo di 8 donne adolescenti abusanti e a loro volta abusate sessualmente o emotivamente durante l’infanzia: risultò che gli atti commessi dalle donne erano correlati al tipo di relazione disfunzionale instaurata con le rispettive madri, le quali non rivelarono mai di esser state anch’esse vittime di abusi sessuali. A questo punto, appare chiaro quanto il maltrattamento subito dalle madri sia stato la causa di un mancato attaccamento salutare con il proprio figlio, influenzando così potenzialmente tutte le future relazioni del bambino. Le genitrici non erano in grado di curare i propri figli perché non solo mancavano dei modelli di ruolo appropriati per crescerli, ma anche perché erano state abbandonate dai compagni costringendole a rivolgersi alle loro figlie per soddisfare i propri bisogni.
Mathew, Matthews and Speltz nel 1989 tentarono di stilare una tassonomia delle donne pedofile:
teacher/love offender, donne che non considerano errato il proprio comportamento, vedono i bambini come partner e il comportamento sessuale come un’esperienza positiva per entrambi; predisposed (intergenerational) offender, agiscono da sole durante l’offesa e in genere abusano dei propri familiari, hanno subito abusi sessuali in tenera età; male coerced offender, donne passive e impotenti, solitamente costrette dal marito a commettere l’atto sessuale per paura di essere abbandonate o di subire violenza per un rifiuto a partecipare. Ad oggi non esiste nessuna profilazione delle female sexual offenders, ma pur essendo una popolazione piuttosto eterogenea, sono state trovate alcune caratteristiche comuni delle donne autrici di violenza sessuale e delle loro vittime: la media delle donne colpevoli sembra variare tra i 26 e i 36 anni; la maggior parte ha uno status socioeconomico piuttosto basso; più del 50% mostra problemi di salute mentale, in particolare abuso di sostanze, disordini della personalità (passivi e dipendenti) con autostima alquanto bassa; infine sembrano essere impulsive con esigui livelli di autoregolazione emotiva.
Una delle differenze più evidenti tra child sexual offender femminili e maschili riguarda l’affiancamento delle pedofile all’azione molestatrice del proprio partner, invece i pedofili raramente commettono tale reato in presenza di un’altra persona. Inoltre socialmente vi è l’idea che la donna tenda ad usare la violenza sui minor meno frequentemente rispetto agli uomini durante l’abuso sessuale sul minore, in realtà esiste un numero di donne – seppur limitato – che risulta più violento degli uomini, mettendo in atto con forza penetrazione orale, anale, genitale con oggetti o dita. Una differenza sostanziale è insita nelle possibilità di vicinanza con i bambini e soprattutto la possibilità di scelta della vittima: le donne, per il ruolo loro di nutrici, hanno maggiori possibilità rispetto all’uomo di avvicinare i bambini. Infine la fascia di età delle donne che commettono reati sessuali è tra i 26 e i 36 anni, differendo dalle loro controparti maschili in quanto questi agiscono in un’età più avanzata rispetto alle donne. Esistono, comunque, casi di donne preadolescenti di età inferiore a 26 anni che hanno commesso reati sessuali contro i bambini che rimangono in gran parte non rilevati perché la condotta si verifica di solito durante l’attività di cura del minore, come nell’attività di baby sitter.
Per ciò che riguarda il sesso delle vittime non vi è alcuna chiarezza a riguardo. Knopp e Lackey nel 1987 hanno riportato che su 646 abusi sessuali su minori commessi da donne, 329 su maschi e 317 su femmine; Faller nel 1987 ha affermato che 2/3 delle vittime erano femmine e 1/3 maschi; Fehrenbach nel 1988 rivelò che il 35,7% erano maschi e 57,1% femmine. Da questi dati si può notare una leggera propensione verso la scelta della vittima di genere femminile, però bisogna considerare anche un alta percentuale di numero oscuro, cioè di violenze sessuali non denunciate da uomini in quanto vi è il mito della glorificazione di quei maschi (adolescenti) che riescono ad andare a letto con donne più anziane di loro.
Le vittime di abusi femminili soffrono in modo simile alle vittime di abusi maschili? Come le vittime di abusi maschili, le loro vite sono state drammaticamente colpite: fanno abuso di alcol e droghe, hanno tentato il suicidio, difficoltà ad avere relazioni stabili, rabbia irrisolta, vergogna e colpa, autolesionismo, depressione, sono anoressici e bulimici, agorafobici (paura degli spazi aperti).
Il modo in cui i membri di una società percepiscono e rispondono a determinati eventi fino a qualche anno fa era significativamente modellato dai rapporti culturali, sociali e mediali. La ricerca finora ha dimostrato che la rappresentazione mediatica degli autori di reati sessuali è assolutamente influenzata e mai imparziale. Non a caso, gli autori maschili di reati sessuali sono fortemente criticati nei resoconti dei media, mentre gli articoli sulle donne che commettono reati – e soprattutto a sfondo sessuale – di solito contengono attenuanti per giustificare o ridurre la gravità del comportamento offensivo. Le notizie dei media tendono a rafforzare gli stereotipi di genere tradizionali e, quindi, a sopprimere lo sviluppo di una consapevolezza pubblica sui reati sessuali commessi dalle donne. Tale percezione ineguale di uomini e donne che offendono sessualmente i minori si riflette concretamente nei giudizi della società. È di essenziale importanza il riconoscimento di una colpevolezza delle child molestor femminili da parte del grande pubblico e della loro esistenza, rendendo necessarie attività di sensibilizzazione al fenomeno.
BIBLIOGRAFIA
• Badgley R., Sexual offences against children : report of the Committee on Sexual Offences Against Children and Youths, Ottawa, Department of justice, 1984
• Mathews R., Matthews J. K. e Speltz K., Female Sexual Offenders: An Exploratory Study, 1989
• Broussard S., Wagner W. G. e Kazelskis R., Undergraduate students’ perceptions of child sexual abuse: The impact of victim sex, perpetrator sex, respondent sex, and victim response in The Journal of family violence, 1991
• Elliott M., Female sexual abuse of children, New York, The Guildford Press, 1993
• Turner M. T. e Turner T. N., Female adolescent sexual abusers: an exploratory study of mother-daughter dynamics with implications for treatment, Safer Society Pr, 1994
• Journal of Clinical Medicine, 2019